Gli album del mese: Dashboard Confessional, Bodega, Thomas Headon & more

Dashboard Confessional All the Truth That I Can Tell copertina

Dashboard Confessional – All the Truth That I Can Tell

(self-released, 25 febbraio 2022)

I Dashboard Confessional li avevamo lasciati nel 2018 con un disco (Crooked Shadows, uscito per Fueled by Ramen) di livello davvero basso, in cui Chris Carrabba aveva provato a fare una sorta di svolta pop-commerciale inserendo terribili canzoncine semielettroniche insieme a pezzi più “Dashboard” che non avevano però alcun mordente. Archiviata l’esperienza con l’etichetta della Florida, ritroviamo Chris con un disco autopubblicato sul quale l’obiettivo è piuttosto evidente fin dai primi singoli: cancellare tutti gli errori fatti nel recente passato per tornare a quello per cui i Dashboard Confessional sono maggiormente conosciuti, ovvero la voce dell’artista di Boca Raton accompagnata da una chitarra strappalacrime. All the Truth That I Can Tell sono undici canzoni chitarra e voce, esattamente come era The Swiss Army Romance e in parte minore The Places You Have Come to Fear the Most. I testi a volte sussurrati a volte cantati con pathos ci ricordano che Chris è ancora maestro nel comandare le emozioni e le passioni e soprattutto nel farcele sentire fino in fondo; gli argomenti sono nostalgici ma non più tormentati: Chris parla del proprio amore per i figli, per la moglie, del ricordo della gioventù passata nel Sunshine State (la Florida, appunto), rievoca le sensazioni provate durante i concerti… insomma, non c’è più tanto spazio per l’heartbreak e la disperazione dei primi dischi, e in fondo è anche giusto e normale che sia così vista la situazione attuale di vita del cantautore. Certo la sua voce sta bene con tutto, ma dà (o dava) il meglio di sé cantando brani tristi e carichi di sconforto, che qui sono semplicemente assenti. Va detto comunque che il songwriting è di ottimo livello e permette alla voce di esaltare le proprie doti lenitive per le nostre anime. Chris Carrabba ha cercato di ricreare la magia di The Swiss Army Romance; non ci è propriamente riuscito, ma ha probabilmente fatto il suo miglior disco dal 2007 a questa parte, e non era scontato.


Bambara – Love on My Mind

(Wharf Cat Records, 25 febbraio 2022)

I Bambara sono una delle ormai tantissime band inserite nel calderone post-punk, anche se nel loro caso sembra un’etichetta che si sono ritrovati addosso più per affinità temporale che per vera appartenenza al genere. Il gruppo è salito alla ribalta nello stesso periodo degli Idles, degli Shame, dei Fontaines DC e altre band di questa corrente, ma di post-punk ci sono echi solo lontani e fievoli sul loro nuovissimo lavoro, questo EP di sei canzoni intitolato Love on My Mind. Più esotiche e fantasiose, ma forse anche più azzeccate, sono alcune descrizioni che sono state tentate per il sound dei Bambara, ad esempio “noir punk” o ancora meglio “Western gothic”; di fatto ascoltando il disco sembra di essere in un western decadente ambientato al crepuscolo, o nelle fasi senza azione di un libro di Cormac McCarthy. La band doveva aprire i concerti europei degli Idles previsti a marzo, e in effetti Love on My Mind può accompagnarsi bene all’ultimo disco della band di Bristol, più sperimentale, rarefatto e “artistico” rispetto allo scatenato post-punk di altri album; l’EP dei Bambara ne rappresenta quasi il lato più riflessivo e notturno.


Veivecura – Volersi bene

(Hummingbird Muzik, 25 febbraio 2022)

Attivo all’incirca dal 2010, Veivecura è il progetto di Davide Iacono, con ben quattro album nel curriculum di cui l’ultimo, questo Volersi bene, arrivato a cinque anni di distanza dal precedente ME+1. Nove tracce “introspettive che esplorano le sfaccettature delle relazioni tra esseri umani”, Volersi bene è un disco di stampo essenzialmente indie pop declinato però non nella sua versione sbarluccicosa e upbeat né vicino a quello che chiamiamo (o abbiamo chiamato) itpop; semmai avvicina un certo piglio indie rock a synth spesso presenti ma mai protagonisti, dove l’indie pop è semplicemente la sintesi di questi due elementi, un po’ come se Frank Turner facesse cover degli Wavves usando un synth al posto della chitarra. Curioso il modo di cantare di Davide, che potrebbe adattarsi benissimo a una canzone di Colapesce Dimartino -e si potrà forse parlare di una “scuola siciliana”; la sua voce è sempre trascinata, quasi sospesa nel tempo e intrisa di una malinconia dolceamara, con un pizzico di felice nostalgia, come quando si ricorda un momento felice del passato -va detto che ora della nona traccia questo modo di cantare sempre monocorde può risultare un po’ pesante, e accogliamo con piacere l’arrivo di Vetri rotti in quanto unico brano dove i vocals si prendono maggiori libertà intonando note più alte e decise. Il mood principale di Volersi bene è quello della calma, della pacatezza introspettiva ma non presa male; un disco da ascoltare insomma non quando si è tristi ma quando ci si vuole godere un momento di quiete, magari poco prima del tramonto su una decappottabile di fronte al mare. Ed è un discorso che vale sia per le ballad o pseudo-tali in cui i ritmi si abbassano fino a farsi rarefatti (è il caso di Stanotte qui, Un’altra sigaretta ma anche di parte di Vetri rotti prima della climax finale), sia quando il disco imprime una delicata accelerazione come quando verso la metà troviamo la sequenza Fuori città – Roma è una brace – L’impero celeste. E dove in Generiche domande altri hanno sentito echi di Giorgio Poi, a noi viene in mente per sonorità e piglio anche atmosferico un (ormai) vecchio singolo del bravo Novamerica -o anche più semplicemente la strofa di Island in the Sun degli Weezer.


Bodega – Broken Equipment

(What’s Your Rupture?, 11 marzo 2022)

Terza prova in studio per i newyorkesi Bodega, dopo Endless Scroll del 2018 e Witness Scroll del 2019. Registrato appena finite le restrizioni più pesanti per la pandemia di covid-19, Broken Equipment è un disco gioioso e allegro, con un sound indie rock che deve molto al rock anni ’70 ma strizzando anche l’occhio a sonorità ‘90s -vedi All Past Lovers o Statuette on the Console; di quest’ultima peraltro esistono altre otto versioni cantate in svariate lingue del mondo fra cui italiano, greco e russo. Questi cinque ragazzi sono giovani e cool, esattamente il tipo di musicisti che ti vanteresti di conoscere con i tuoi amici grazie al loro piglio fresco e intrigante. E se non tutti i brani sembrano abbastanza memorabili da fare la differenza e restare impressi, quando i Bodega si esprimono al meglio (sulle già citate Statuette on the Console e All Past Lovers, ma anche in Doers, No Blade of Grass e NYC) sembra che poco li possa arrestare. Molto belle ed esaltanti anche le interazioni e i continui scambi di battute tra la voce maschile di Ben Hozie e quella femminile di Nikki Belfiglio, che aggiungono una dinamica tutta nuova alle canzoni.

I Bodega saranno in Italia ad aprile per concerti a Rivoli (TO), Pisa, Milano e Bologna (info e biglietti).


Drug Church – Hygiene

(Pure Noise Records, 11 marzo 2022)

Anche se non si direbbe, sono passati ben quattro anni dall’uscita dell’ultimo disco dei Drug Church (Cheer, 2018), e la band californiana con questo Hygiene arriva già al quarto disco della propria carriera, nonché secondo per Pure Noise Records. Personalmente non sono mai riuscito a capire cosa avesse questa band di particolare da renderla interessante anche solo all’interno della nicchia punk rock/hardcore di riferimento, e quest’album non fa nulla per farmi cambiare idea. Da un disco di “appena” dieci canzoni ci si aspetterebbe che le tracce fossero “all killer no filler”, invece qui siamo in presenza di dieci brani piuttosto corti ma che strappano più di uno sbadiglio. La band ha smussato leggermente le proprie influenze più heavy in favore di un sound maggiormente melodico, ma nonostante ciò diventa difficilissimo distinguere una canzone dall’altra anche dopo ripetuti ascolti. I Drug Church, come sempre nella loro carriera, sembrano incapaci di scrivere un ritornello, una strofa o anche solo un passaggio appena appena memorabile o che resti in testa, e l’energia che sprigionano i brani non basta certo a compensare la mancanza di orecchiabilità, perché si tratta di un punk rock dal sound sporco ma non certo particolarmente scatenato o aggressivo. Million Miles of Fun e Detective Lieutenant presentano un giro di chitarra vagamente più catchy (non per nulla sono state scelte come singoli per anticipare l’uscita), adombrato presto comunque da linee vocali poco ispirate. Insomma un disco in linea con quanto di poco interessante fattoci ascoltare finora dalla band, ma stavolta ancora meno carico ed energico del solito.


Thomas Headon – Victoria

(self-released, 11 marzo 2022)

Thomas Headon è un classe 2000, nato a Londra, cresciuto in Australia ma ora nuovamente di base nella capitale inglese. Non ha ancora avuto il tempo di pubblicare un disco full length, ma ha messo insieme un paio di EP prima di arrivare a questo Victoria: cinque canzoni indie “all’inglese”, suonate con la chitarra ma in maniera molto pop e solo parzialmente rock. Sembra esattamente uno di quei cantautori indie inglesi che saltano fuori ciclicamente da Oltremanica, evidentemente terreno fertile per questo tipo di proposta musicale. Di recente si è fatto notare anche per la collaborazione con Chloe Moriondo e Alfie Templeman sul singolo Dizzy. Le canzoni di Victoria sono brani molto semplici e anche piuttosto innocui, dove Thomas parla di sé, delle uscite con amici e con le ragazze, dei primi amori… un EP che potrebbe sembrare quasi triviale ma che con i suoi soli 21 anni pare anche molto appropriato all’età dell’artista e alla sua maturità attuale. I brani sono piuttosto catchy e sicuramente ascoltabili, segno che siamo in presenza di un discreto talento: se saprà affinare le proprie abilità di songwriter e soprattutto sviluppare le proprie doti di paroliere, potremmo avere uno dei nuovi volti generazionali dell’indie britannico.


Il Corpo Docenti – Un posto sicuro

(self-released, 11 marzo 2022)

Secondo album per Il Corpo Docenti, trio milanese che nel 2020 aveva sfortunatamente pubblicato il proprio disco d’esordio (Povere bestie) pochi istanti prima che scoppiasse l’inferno. Con l’augurio naturalmente che il follow-up porti meglio sia a loro che al mondo intero, ci ritroviamo nove brani prodotti ancora una volta da Divi dei Ministri sotto il nome di Un posto sicuro. Il titolo dell’album può essere visto come una sorta di manifesto programmatico (un posto sicuro dove rifugiarsi quando tutto ci crolla intorno, un posto che potrebbe essere la musica o questo disco stesso), ma anche come descrizione del presente e della nostra epoca, con tutti i suoi guai e i suoi problemi, nella quale ognuno di noi avrebbe bisogno di rinchiudersi nel proprio posto sicuro dove recuperare fiducia e sicurezza in sé stessi. Il Corpo Docenti parte dalle basi già gettate in Povere bestie, ovvero un rock alternativo intenso e passionale, ricco di schitarrate vicine all’emo e di vocals sentiti, quasi sofferenti; a questo solido punto d’inizio aggiunge esplorazioni in territori più indie rock e new wave, che non stravolgono il funzionante sound della band ma lo arricchiscono di spunti e arrangiamenti inediti, dando al disco un senso di maggior consapevolezza e sicurezza dei propri mezzi che fa sembrare la band cresciuta di cinque anni nel corso di questa pandemia. Le nostre personali canzoni preferite sono Il migliore argomento, la title track Un posto sicuro e Sottotitoli ma semplicemente perché sono quelle più emo con quelle chitarre bellissime che fanno molto piangere; davvero notevoli sono del resto anche brani come l’altro singolo Entrambi, l’opener Un equilibrio da proteggere e la chiusura alternativa con Fantasmi. Se Il Corpo Docenti fosse nato in America avrebbe probabilmente un contratto con Run for Cover Records.

Il Corpo Docenti suonerà l’8 aprile alla Latteria Molloy di Brescia insieme ai Cara Calma, il 30 aprile al Raster Festival di Mare Culturale Urbano a Milano, e il 19 maggio allo Spazio 211 di Torino insieme ai Ros.


Tommaso La Notte – Pop notturno

(Auand, 11 marzo 2022)

Anticipato da una lunga scia di singoli nel corso del 2021, Pop notturno è l’album di debutto del cantautore pugliese Tommaso La Notte, talento classe 2001 del nostro panorama indipendente underground. Un disco composto da otto brani scritti di notte e collegati concettualmente dalla notte come filo rosso (da cui il titolo), i cui temi nascono principalmente da due eventi -un viaggio e una relazione terminata- accaduti, a quanto capiamo, attorno allo stesso periodo poco prima del covid. Se a livello di tematiche Pop notturno è un disco coerente e compatto, anche dal punto di vista del suono si fa apprezzare l’organicità e l’omogeneità delle canzoni, anche quando sono caratterizzate da sonorità più disparate: si passa dal pop “radio friendly” di brani come Ballano le lucciole e Non mi piaci tu, alle ballad (o affini) come Piedi al muro e Una poesia di Montale, passando per un sound più rock in Passano i treni e quasi synthpop in La fine del capitalismo, mentre nella closing track Vita in pausa si inserisce anche una chitarra quasi folk. Tutto questo però sembra far parte di un’unica opera in continuo svolgimento e affine a sé stessa, grazie al lavoro fatto in fase di registrazione e di produzione, che poi è come dovrebbe funzionare per gli album in studio e ciò che li differenzia dalle compilation. Si esalta lungo un po’ tutta la tracklist la voce di Tommaso, che non cerca i tecnicismi esasperati né si esibisce in estensioni vocali operistiche ma è capace di interpretare i pezzi con passione e convogliare i sentimenti di intimità, nostalgia e rimpianto espressi dai testi già maturi per essere stati scritti da un ragazzo di circa 18 anni.


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