Six Impossible Things, Monteluna, Sal Rinella: le recensioni dei singoli italiani

Six Impossible Things – Happy
Dopo Twenty Something di inizio estate, Happy è il secondo singolo per i Six Impossible Things, che nel frattempo hanno annunciato l’uscita del loro nuovo EP The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living per il 27 settembre su Dear Gear Records, e il release show al Bloom di Mezzago il 7 ottobre insieme a Stegosauro, Regarde e Brina (che lineup!).
Ovviamente la canzone si chiama Happy ma non è happy per nulla (“remind me what it means to be happy” è il verso da cui proviene il titolo), altrimenti che canzone dei Six Impossible Things sarebbe? Quello che si nota subito è che si tratta di un brano intimo e soffuso, molto affine allo stile che la band ha sempre perseguito prima della svolta del sound full band adottato sul nuovo EP. E noi che questo EP abbiamo avuto l’onore di ascoltarlo in anteprima possiamo senz’altro dire che Happy è un po’ il ponte di collegamento fra i SIT degli scorsi due lavori e quelli del nuovo EP; anzi, possiamo anche vederla come una sorta di lascito o di eredità del passato che la band ha voluto incorporare nel nuovo EP, per accompagnare il resto dei pezzi full band.
Sal Rinella e le Pallottole – Zuccheri e nicotina
A qualche mese dall’esordio come solista con Milano, Sal Rinella torna con le sue Pallottole pubblicando il nuovo singolo Zuccheri e nicotina, sempre per Ammonia Records. L’artista, anche membro di gruppi come Viboras e The Rubber Room, mette in piedi un gran brano punk rock “come ai vecchi tempi”, in cui parla di paranoie, vergogne e pensieri, e di come si dovrebbe cercare il più possibile di arrivare a superare la visione dei propri difetti come “difetti”, considerandoli invece come tratti che aumentano il valore dell’identità di ciascuno. Il ritornello è veramente accattivante, e vi sfido a non intonare i “la la la” del post-chorus, specialmente se doveste sentire questa canzone fatta dal vivo. Se già Milano ci era piaciuta, con Zuccheri e nicotina Sal Rinella e le Pallottole fanno un ulteriore salto in avanti, presentando un pezzo che sa essere allo stesso tempo malinconico ed elettrizzante, e non è cosa da tutti questa.
Twik – Fammi volare
Tornano anche i Twik che avevano esordito all’inizio dell’estate, questa volta con un nuovo pezzo che sa di amore, ma di quello vero che ogni tanto fa anche schifo, che ogni tanto è complicato, e che non appare per nulla come quello dei film. Direttamente dalla scena abruzzese, i Twik affondano in influenze inconsuete per la scena indipendente, prendendosi con merito il titolo di White Stripes italiani, strizzando comunque l’occhio a Scuola Indie. Partono da una collaborazione a distanza durante il lockdown, e forse loro sono una di quelle rare cose per cui possiamo ringraziare il 2020.
Celestiale – Giallo per Van Gogh
Celestiale è un ragazzo classe 2006 e ha un contratto con una major (Island Records). Vi lasciamo un po’ di tempo per processare quest’informazione.
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Fatto? Se non ci siete ancora riusciti vi capiamo benissimo, intanto però premete play sul suo nuovo singolo qui sotto. È la prima canzone che l’artista pubblica con il nome d’arte Celestiale, ma non il suo primo singolo in assoluto: lo scorso anno era infatti uscito Jeans strappati quando Tommaso usava ancora come moniker il proprio cognome, ovvero Gambacorta. Il nuovo brano si chiama Giallo per Van Gogh, e prende il nome dall’aneddoto secondo cui il pittore olandese, notoriamente ossessionato dal colore giallo, ne facesse talmente tanto uso da provocarsi un’intossicazione da piombo (sostanza contenuta all’epoca nel pigmento giallo). Celestiale lo usa come spunto per raccontare “una storia d’amore in cui le emozioni e le sensazioni sono diventate tossiche come una droga di cui non si riesce più a fare a meno, fino ad abusarne”. La canzone è un curioso esperimento di portare nel mainstream le sonorità hyperpop che all’estero hanno già da qualche anno conosciuto il successo e che qui da noi sono sempre rimaste un po’ nella nicchia, oscurate dall’indie (pop) sanremese e dalla trap. Per noi la scommessa potrebbe funzionare: il brano è accattivante, e la componente hyperpop prevale nello strumentale ma in una maniera piuttosto armonica, certamente lontana da alcuni eccessi di questo genere.
Epoimai – Gin & kahlúa
Questo brano di Epoimai mi piace già dal titolo perché dà finalmente meritata visibilità alla misconosciuta kahlúa, che è quel liquore che quando lo ordino al bar tutti gli amici mi guardano con aria interrogativa come se avessi chiesto un misterioso intruglio segreto. Si tratta in realtà di un liquore al caffè, un po’ come il nostrano Borghetti, anche piuttosto usato (pensate al black o white Russian), semplicemente all’insaputa di molti. Il gin invece immagino non abbia bisogno di presentazioni. Così come non ne ha Epoimai se avete letto il nostro articolo di qualche mese fa dove parlavamo del suo singolo d’esordio omonimo. L’artista classe 2005 presenta un brano pop dalle sonorità leggere e spensierate, influenzate -dice lei stessa- dal French touch, e cantato con garbo da Beatrice, senza strafare ma in maniera aggraziata e casual; un’ottima interpretazione per un testo che parla di “due persone che vogliono mettersi da parte le pare e lasciarsi andare”, magari con l’aiuto di un po’ di kahlúa, che va giù che è un piacere.
Filippo Arpaia – Sopravviverò
A volte ritornano. Dopo il suo singolo Lascia stare dello scorso anno, ritroviamo Filippo Arpaia con un nuovo brano intitolato Sopravviverò. Una sorta di mantra da recitare a sé stessi, in una canzone che del resto parla “dell’importanza di sentirsi a proprio agio con la propria personalità, abbattendo vecchi cliché di amori sbagliati, vivendo meravigliosamente anche in solitudine”. Sopravviverò è un brano cantautorale di stampo pop, con un ritornello aperto e orecchiabile e strofe dal tiro vagamente rock, arricchite da un’armonica da Western nell’arrangiamento. Sonorità magari un po’ classiche, ma che sembrano addirsi bene allo stile di Filippo.
Foudre – Luna Park
Un Foudre in formato Ray Charles quello che compare sul nuovo singolo Luna Park, che fa seguito a Specchi uscito a inizio estate. Dalla foto di copertina del singolo alla ripresa del motivetto di Hit the Road Jack, l’omaggio al grande artista è dichiarato, anche se questo resta più a livello di immagine che di sound in sé: Luna Park infatti è un pezzo (t)rappato e dal sound decisamente impiantato nella contemporaneità. Anche in questo caso, così come per il singolo precedente, si tratta di un brano sprovvisto di un vero e proprio ritornello, e anche in questo caso la scelta non ci dispiace, perché permette di focalizzarsi meglio sulla canzone in sé che sull’orecchiabilità di un passaggio catchy.
Hopeless Party – Nunavut
Torino sta vivendo una rinascita emo probabilmente non comparabile in nessun’altra parte d’Italia in questo momento. Tra gli artisti che stanno mettendo in piedi questa nuova fase troviamo gli Hopeless Party, che fanno part(y) del collettivo Turin Moving Parts -chiaramente il collettivo emo col nome più bello di sempre. Il loro nuovo brano si chiama Nunavut, che è “la regione più gelida e desolata del Canada: in questo territorio vi è un altissimo tasso di suicidio e alcolismo”. Una scelta che però non è solo evocativa di desolazione e tristezza, ma ha anche un significato politico e storico: “Nunavut è l’antichissima terra degli Inuit, popolo che nel corso degli anni è stato prosciugato della sua identità culturale e territoriale a causa di un imperialismo capitalista senza occhi e con mille bocche. Viviamo tuttə a Nunavut, il mostro fagocita la nostra identità personale e ingrassa sempre più deforme”.
Gli Hopeless Party propongono una sorta di ibrido fra emo, hardcore e black metal, e se la cosa può sembrare strana è perché lo è. Suoni evocativi e atmosferici, anche un po’ ansiogeni, su cui si innesta uno spoken word che racconta del mostro che fagocita menzionato dalla band si trasformano in uno sferragliare di chitarre e batteria molto più vicino al black metal e lacerato da urli spettrali. La sensazione di costrizione e di disagio non abbandona mai durante i cinque minuti e mezzo del pezzo, ma crediamo che questo sia un effetto voluto dal gruppo, proprio a sottolineare i temi da cui ha origine la canzone. Quella degli Hopeless Party ci sembra una proposta coesa e sicura dal punto di vista artistico e musicale, probabilmente in parte inesplorata nel nostro Paese anche se chiaramente destinata a un pubblico di nicchia. Noi la apprezziamo ancor più per questo.
Kaput – Tutte crudeltà
Di Antonio Caputo in arte Kaput avevamo parlato qualche mese fa con il suo singolo Granata, che aveva caratteristiche affini a quelle del suo nuovo singolo Tutte crudeltà. Anche questo pezzo infatti ha un sound pop ritmato e basato sui synth, e con una venatura malinconica che permea l’intero brano. Si tratta del resto una canzone che parla del fatto che “si tende sempre a parlare di amore, anche quando le crudeltà o le verità che si raccontano in una relazione ci lasciano addosso lividi che ci mettono un po’ di tempo per scomparire”. Brano pop piuttosto orecchiabile che può piacere anche ai frequentatori delle discoteche anni ’90.
Leiden – Leggerezza
Il ritorno dalle ferie, un audio e la nostalgia per quella ragazza, quella stronza, che non ci ha aspettato per il nostro ritorno a Milano. Leiden, con una maestria di scrittura davvero rara, racconta quella situazione comune a tutti: quando ci siamo ritrovati a casa, distrutti, in quel molleggiare dolce-amaro a volte un po’ alcolico dove ripensiamo a un amore mai sbocciato, con gli amici che ci trascinano a distrarci. Qui il fulcro di Leggerezza, che suona come un singolo estivo che si balla, ma che fa anche piangere, che ci apre alla routine, alla solitudine, alle birrette e alla Milano più inospitale che possiate immaginare. Con la cassa dritta e le birre non si sbaglia mai. Bravo, Leiden.
Loser Name – Il tempo non passa mai
Dopo il brano d’esordio Odio l’estate pubblicato, beh, in estate, i Loser Name (che nome punk!) tornano con un secondo singolo, intitolato Il tempo non passa mai, che è una constatazione che probabilmente divide a metà il mondo (quelli che “come passa in fretta il tempo” e quelli che si rivedono nel nome del brano). La canzone è veloce ed energica, ma anche parecchio melodica: del resto i ragazzi si definiscono una band pop punk, anche se è quello stile un po’ ibrido fra pop punk e punk rock -posto che non è sempre immediato capire dove finisce uno e inizia l’altro. Nel brano non c’è spazio per synth, influenze trap o vocals pesantemente autotunati, il che forse svantaggia la band presso il pubblico dei giovani che si sono appassionati al genere negli ultimi anni, ma in compenso la band suona più genuina e credibile.
Il Metz – Bocca di cartone
Questo retrogusto in cui sentiamo i Bluvertigo e quel periodo di cantautorato elettronico illuminato. Il Metz, con un giro di synth ipnotico, ci regala questo brano ancora estivo e spensierato, dedicato a tutte quelle bugie che diciamo senza neanche accorgercene, per strappare un bacio. Milanese, di stanza a San Giovanni, originario di Genova, Il Metz (o più semplicemente Matteo) è una delle penne più interessanti della scena, seppur spesso un po’ lontano dalle ondate ruffiane di Scuola Indie che ascoltiamo ultimamente, che non ha paura di suonare sfacciato e pop, trascinante e triste, di ballare sulla nostalgia, e di parlare di conquiste mal riuscite. Bocca di cartone è il racconto di una cotta estiva che tutti noi abbiamo vissuto, e che in inverno ci mancherà incredibilmente tanto. Da ascoltare tanto, soprattutto quando fa freddo, per tornare alle estati passate.
Monteluna – Calciobalilla
L’aneddoto da cui nasce Calciobalilla a prima vista fa un po’ sorridere, ma ragionandoci un attimo quella della madre che quatta quatta, per motivi di ordine o spazio, cestina ricordi d’infanzia è un’esperienza comune a moltissimi. Insomma il proverbiale “fa ridere ma anche riflettere”, e forse addirittura commuovere, chissà, quando si scioglie la metafora e si chiarisce che il reale tema sono le relazioni interrotte. Stilisticamente ci sono echi di quelle band punk rock anni ’90 ormai inattive o semplicemente invecchiate male che però qui vengono rinfrescate da passaggi più propriamente emo e da una spontaneità che rende il suono dei Monteluna un poco grezzo ma molto genuino.
Munendo – Mezcal
Un capitolo per ricominciare per il progetto Munendo che ci accoglie con ritmi serranti e alcolici, tipici della più sfrenata e triste serata che vi può venire in mente. L’ossimoro canzone triste che si può ballare, sempre gradito e per lo più riuscito, sembra un ormai un must radicato della scena romana, perennemente in crisi di coppia, in crisi relazionale ed esistenziale. Munendo ci racconta una storia dove non ci si prende le proprie responsabilità, dove si maschera tutto con sorrisi, un altro giro di mezcal e una valanga di chiacchiere. Impossibile non identificarsi in questo brano pop che non nasconde la sua anima ruffiana e trascinante. Un bellissimo nuovo inizio per un progetto che forse sinora avevamo sottovalutato.
Sacrobosco – Higher
Dopo aver pubblicato un album intitolato IVXVI a maggio per Trovarobato, Sacrobosco ne annuncia la “seconda parte”, che non poteva che intitolarsi IXVXI. Il disco uscirà a ottobre ed è anticipato da questo brano intitolato Higher, due minuti e una manciata di secondi di loop di un campionamento di Skating in Central Park di Bill Evans e Jim Hall. Più che il pezzo in sé, è curiosa la sua pubblicazione, che avviene in concomitanza con due remix di questo brano realizzati da artisti di base a Bologna (città di residenza dello stesso Sacrobosco) quali Knarzy e Jr Asa Nauw, per dare al brano una doppia nuova vita e una doppia nuova interpretazione inedita.
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