Gli album del mese: Sigrid, State Champs, Stand Atlantic & more

Sigrid How to Let Go copertina

Sigrid – How to Let Go

(Island Records, 6 maggio 2022)

Il secondo album di Sigrid poteva considerarsi parecchio atteso, non tanto in Italia (dove si è dovuto spostare il suo unico concerto dal capiente Fabrique all’intima Santeria Toscana 31 -show previsto per oggi 1° giugno) quanto all’estero, dove l’artista norvegese suona in palazzetti e stadi -e infatti How to Let Go è finito al primo posto nella classifica di casa sua e al secondo in quella britannica. Buona parte del merito di questa popolarità è innegabilmente dovuta al disco d’esordio, Sucker Punch, che era un concentrato di canzoni synthpop luccicanti, vivaci e allegre, estremamente catchy e di immediata presa ma ben fatte e artisticamente curate. Tutto ciò che manca invece nell’album che abbiamo ora sottomano. Le canzoni sono ben fatte, intendiamoci, ma manca completamente il mordente, la carica e la brillantezza del disco d’esordio. Sigrid ha voluto fare un disco più maturo che includesse anche una strumentazione più variegata, e infatti fanno la propria comparsa anche delle chitarre (It Gets Dark, Risk of Getting Hurt, Bad Life e poi nelle milleduecento ballad come Mistake Like You, Grow e High Note), ma ha sacrificato l’elemento dell’immediatezza e della gioia di vivere contagiosa che il primo disco emanava. How to Let Go è sostanzialmente un album noioso, e per di più molti testi sono estremamente cliché al punto da risultare finti e per nulla credibili (Bad Life con la sua “it’s just a bad day, not a bad life”) o A Driver Saved My Night con il topos della canzone che ti risolleva d’improvviso la serata, ma pure High Note e la sua banalissima “when I go, I want to go out on a high note”. Sembra che i testi siano insomma almeno altrettanto poco ispirati quanto la musica. Troppe ballad inoltre tolgono il ritmo e rendono How to Let Go un ascolto pesante: se ne contano almeno 4 su 12 tracce e francamente paiono un po’ troppe. Completamente stonata anche la collaborazione con Oli Sykes dei Bring Me the Horizon su Bad Life: una canzone rock in un disco come questo sembra non c’entrare davvero nulla, e ci si chiede perché a un certo punto della tracklist debba comparire una canzone con le chitarre distorte. Forse stiamo parlando un po’ troppo duramente di questo disco, che in realtà non è certo un abominio e ha dei (pochi) momenti godibili, come in Mirror o Thank Me Later, ma se spingiamo così tanto sulla critica è perché dopo Sucker Punch avevamo aspettative molto alte e questo disco le ha deluse in toto.


State Champs – Kings of the New Age

(Pure Noise Records, 13 maggio 2022)

Gli State Champs si sono presi quattro anni per far uscire il nuovo album Kings of the New Age, seguito del carino-ma-non-eccezionale Living Proof (2018). Vista l’attesa, ci si poteva aspettare che la band avesse voluto fare le cose in grande per tornare, se non proprio sui livelli forse irripetibili dei primi due album, quantomeno ad avere quel tiro e quella carica che nell’ultimo album mancavano quasi completamente. Su Kings of the New Age invece troviamo una band che mette da parte le velleità pop che avevano azzoppato Living Proof ma senza spingere sugli hook, sui ritornelli e sui vocals trascinanti che avevano fatto le fortune della band nei suoi primi anni di vita. I ritornelli qui sono carini, alcuni anche abbastanza accattivanti, orecchiabili, ma andatevi a sentire il ritornello di Elevated o di All You Are Is History o Secrets e ditemi che non c’è una voragine di differenza. Quelli erano ritornelli travolgenti, incredibilmente catchy e memorabili, con un cantato anthemico; questi sono standard, abbastanza poveri di immaginazione e cantati con poco impegno e poco sforzo. Non è un disco da buttare; le sonorità sono varie e la produzione è fresca, ci sono anche tracce apprezzabili come Here to Stay (forse quella che più si avvicina a un vero pezzone pop punk), Everybody but You con il suo feat. con Ben Barlow dei Neck Deep arrivato almeno cinque anni troppo tardi, o ancora Eventually, ma sarebbero state dei B-side di The Finer Things e non certo i singoli. Sembra insomma che gli State Champs si siano messi poco d’impegno e abbiano tirato fuori un disco con il minimo sforzo: così difficilmente può funzionare, specialmente se c’è chi fa pop punk in modi più nuovi e vicini ai gusti delle generazioni più giovani.


Stand Atlantic – F.E.A.R.

(Hopeless Records, 6 maggio 2022)

Terzo album per gli Stand Atlantic, una delle poche band di valore rimaste nel roster di Hopeless Records. Il gruppo australiano ha sempre fatto del pop punk (più pop che punk) la propria bandiera, e su F.E.A.R. le cose non vengono certo stravolte, ma si nota una certa volontà di sperimentare e ampliare il proprio repertorio di sonorità: abbiamo così tracce in cui compaiono vistosi beat hip hop, vedi Deathwish (con la partecipazione, non per nulla, di Nothing, Nowhere) o Cabin Fever; pezzi che aggiungono scratch e drop da musica elettronica come Switchblade, e addirittura un pezzo hardcore come Molotov [OK] in cui la cantante e chitarrista Bon sfoggia insospettabili doti nel cantato aggressivo tipico dell’accacì -ma in generale tutta la performance vocale della leader degli Stand Atlantic è veramente degna di nota e almeno altrettanto varia come il sound del disco. Altri brani naturalmente seguono il canovaccio ormai classico del quartetto, ad esempio la opener Doomsday o la bella Nails from the Back. Il livello del disco resta piuttosto alto, anche se forse rispetto allo scorso album Pink Elephant (2020) c’è qualche traccia più debole se non direttamente filler (prendi XO, che peraltro pare un B-side dei Bring Me the Horizon), al netto di alcuni singoloni come appunto Molotov o Pity Party nonostante il tremendo feat. con Royal & The Serpent.


Loose Fit – Social Graces

(FatCat Records, 29 aprile 2022)

Primo album per gli australiani Loose Fit, che propongono una strana combinazione di post-punk, indie rock e jazz grazie alla presenza di un sassofono che spesso e volentieri fa le veci della voce -anche perché la sassofonista del gruppo è anche la cantante, ovvero Anna Langdon. Social Graces è un disco curioso, che non annoia mai proprio perché propone un sound frizzantino e soprattutto unico nel panorama musicale alternativo. Occasionalmente i testi sembrano un po’ troppo ripetitivi (vedi Cool Change o Best Face Forward) e i Loose Fit danno il meglio di sé più che altro quando la vocalist alza i toni e canta in modo più aggressivo e quando si inserisce il sax (come in Stupid Drama e in Mosquito), cosa che non avviene sempre -del resto vista la coincidenza di cantante e sassofonista diventa complicato. Abbiamo però un disco entertaining che ci svela una giovane band di talento e da tenere d’occhio nei prossimi anni, considerando anche la fertilità del terreno australiano in termini di band cariche e qualitative.


Puppy – Pure Evil

(Rude Records, 6 maggio 2022)

Tre anni dopo The Goat, i londinesi Puppy tornano con il loro secondo disco, Pure Evil, fuori per Rude Records. Si tratta di un album che combina influenze heavy derivate in primis dal post-grunge con momenti più leggerini e poppeggianti, a partire dall’approccio vocale di Jock Norton; a tratti si arriva anche ad avere chitarre esplicitamente riferite al metal e al thrash, come accade in Spellbound (che potrebbe benissimo essere un pezzo degli Avenged Sevenfold con tanto di assolo finale) o in Sacrifice. Il che accentua naturalmente anche l’aspetto ironico dell’intero disco, visto che le sonorità aggressive e il titolo fanno da contraltare al nome della band (“cucciolo”). I Puppy pestano parecchio su quest’album, anche se spesso si ha la sensazione che Pure Evil sia focalizzato più sulla heaviness che sulla forza delle canzoni in sé -tratto comune a dire il vero a molte produzioni che gravitano attorno a questo genere.


Claudym – Un-Popular

(Island Records, 5 maggio 2022)

Prima prova sulla media distanza per Claudym, una delle artiste più imprevedibili del panorama emergente italiano. In passato Claudia aveva pubblicato brani in inglese su una sorta di indie pop tutto personale, ma già da qualche tempo l’artista milanese ha ripiegato sull’italiano, inevitabilmente la lingua a cui deve per forza fare ricorso chi voglia sfondare nel mercato musicale del nostro Paese in questo momento. Il singolo Nightmare ci era piaciuto davvero tanto con le sue vibe alla Billie Eilish, e un po’ ci spiace non ritrovarlo nella tracklist di Un-Popular, ma ci sono abbastanza brani da compensare questa perdita (anche se, personalmente, nessuno di loro arriva davvero allo stesso livello). Come è un pezzo che va un po’ da tutte le parti ma che probabilmente racchiude in sé tutta l’essenza della musica che propone Claudym: Un-Popular è prevalentemente un EP synthpop, ma ci sono sconfinamenti in chitarre acustiche (Apatia, quasi una hit da Radio Italia), avvicinamenti all’urban (feat. allucinato con Sethu su A/B) e pure una cover di Razzi arpia inferno e fiamme dei Verdena (che però francamente sembra un po’ troppo a caso in questa tracklist). Non è sempre facile tenere traccia di dove sta andando a parare Claudym visti i repentini sbalzi di tono, umore e sound, e i testi un po’ criptici non aiutano, però la sensazione è di avere a che fare con un tipo di sonorità e di ricerca artistica che nessun altro sta affrontando in questo momento in Italia: quando anche Claudia troverà completamente la propria strada sarà difficile arrestarla.


Anna Luppi – All We Got

(LaPop, 18 maggio 2022)

Già vista su queste pagine nell’arco degli ultimi mesi con i suoi due brani più recenti All We Got e Justo a tiempo, Anna Luppi raccoglie ora molti dei suoi pezzi pubblicati tra il 2017 e oggi in questo EP di cinque tracce intitolato anch’esso All We Got. Nel disco compaiono i suoi duetti con l’uruguagio Nacho Toso e con l’olandese Paul Istance, e non per niente si tratta di un disco di aspirazione transnazionale, con pezzi in italiano, in inglese e in spagnolo. Quella di Anna è musica che tende quasi sempre alla positività, all’emanazione di sensazioni e vibe allegre e upbeat, con testi che toccano spesso argomenti più profondi e riflessivi: Feministas con tacones è una rivendicazione delle istanze femministe, quasi un’apologia del femminismo nei confronti delle sacche reazionarie della società; Canzone del bambino sulla spiaggia tocca il tema delle migrazioni e del loro costo umano e sociale. Ma Anna non è qui per farci la morale o per suonare pesante con le proprie osservazioni; tutt’altro: Comincio di fretta è un brano pop alla chitarra, vicino alla musica leggera italiana, così come Feministas con tacones si muove su un ritmo reggaeton unito a una chitarra latina che lo rende un pezzo anche estivo seppur non certo da spiaggia; Canzone del bambino sulla spiaggia è caratterizzata da percussioni che rimandano alla world music e un ritornello sostanzialmente fatto di vocalizzi, che nel complesso ricordano certe esplorazioni di Fiorella Mannoia. La musica fa prendere bene insomma, e rende All We Got un ascolto estremamente leggero e piacevole, specialmente con la stagione calda alle porte; del resto, Anna stessa dice che i brani “sembrano come legati dal filo indissolubile della ricerca di una felicità possibile e terrena”.


RosGos – Circles

(Beautiful Losers, 19 maggio 2022)

Anticipato dai due singoli Fraud e Lust, di cui avevamo ben parlato su queste pagine nelle scorse settimane, è uscito Circles, il nuovo disco di RosGos per la boutique label Beautiful Losers. Il disco è interamente ispirato all’inferno di Dante, che magari non sarà un concept rivoluzionario o particolarmente innovativo, ma quando un lavoro artistico possiede questi riferimenti letterari non può che suscitare interesse già di partenza -e anche un po’ di ammirazione per l’artista che decide di cimentarsi con un’opera così grande e importante. Tutti e nove i brani portano i titoli di uno dei cerchi infernali, e si ispirano dichiaratamente a nomi quali Mark Lanegan e Wovenhand: le chitarre sono così sempre in primo piano, anche se in tutti i brani sono affiancate da importanti suoni al synth che aumentano le sensazioni e le atmosfere “teatrali” del disco -particolarmente evidente questo in pezzi come Limbo, Heresy o Wrath, con quest’ultima che è anche una delle tracce più cupe e oscure dell’album (insieme a Violence, verrebbe da dire). I vocals sono trattenuti ma evocativi, non si producono in troppi cambi di tonalità o registro vocale, ma interpretano i brani come se avessero di fronte un’opera teatrale. Circles non è l’album a cui rivolgervi se siete in cerca di ritornelli accattivanti, scariche di adrenalina o schitarrate potenti; semmai è un viaggio, uno di quegli ascolti immersivi che necessitano di tempo di assimilazione e soprattutto di un ascolto attento, privo di distrazioni esterne.


A.I.T.O. & Yvan Cole – Fenomenologia degli occhi chiari

(self-released, 20 maggio 2022)

A.I.T.O. ci mette la voce e le parole; Yvan Cole ci mette la musica. Questo il patto da cui nasce Fenomenologia degli occhi chiari, primo EP frutto della collaborazione dei due artisti, composto di quattro tracce decisamente diverse fra loro sotto praticamente tutti i punti di vista. L’opener Fase #1 ad esempio è un pezzo rock (alla Maneskin se vogliamo) ma con parecchie contaminazioni elettroniche; Artisti vari propende maggiormente per le basi di synth che fanno da sfondo alla voce di A.I.T.O.; Seppuku alterna strofe semi-rappate a un ritornello cantato con strani effetti al synth che la avvicinano quasi a una ballad folk medievaleggiante; La prima a morire appare maggiormente di stampo cantautoriale anche se guidata dai synth più che dalla chitarra, e il simil-flauto fa quasi pensare a qualche pezzo di Branduardi. Fenomenologia è un EP decisamente breve, e talmente vario che si fa fatica a esprimere un vero e proprio giudizio; quello che ci sentiamo di dire è che la voce forse andrebbe un filino abbassata nel mix (difetto comune a molte produzioni del nostro Paese), ma che al di là di questo il mondo musicale ha bisogno di più collaborazioni strane e singolari come quella di A.I.T.O. e Yvan Cole.


Biagio – Come farsi appendere con sette semplici canzoni

(self-released, 27 maggio 2022)

Con un titolo eloquente, Come farsi appendere con sette semplici canzoni, Biagio pubblica il suo primo disco, un EP di sette canzoni (appunto) unite dalla goliardia, dall’ironia e dalla voglia di scherzare e prendersi ben poco sul serio. Su sound che viaggiano sempre tra il pop elettronico, i synth e accenni di pop rock, Levibrazioni racconta una storiella passeggera nata a un concerto delle Vibrazioni sotto l’effetto di qualche strana sostanza; Celovuoi si lamenta delle relazioni interpersonali ai tempi dei mille social network che finiscono per assorbire tutto il nostro tempo, con un approccio al cantato e alla musica vagamente simile a quello di Günther (quello di “you touch my tra-la-la”). Il pop leggero di Quattro dentri narra la storia di un incidente in moto e di una relazione finita, mentre Geeno (come l’attore co-protagonista del grandissimo film Ahia ma sei scemo) è un brano reggaetoneggiante dedicato al suo “cane bastardo trovato per caso”. Non lasciarmi è tautologica: si tratta di un pezzo dove Biagio implora una tipa di non lasciarlo per andare in Erasmus a Milano -anche perché “a Milano non c’è il mare”, come dice Tricarico). Insomma, Come farsi appendere è un lavoro divertente, senza pretese e leggero, in cui forse l’attenzione all’elemento goliardico lascia un po’ troppo in secondo piano il focus sulle canzoni in sé, che sono sì carine ma non sempre così memorabili: i Gem Boy, gli Squallor -o anche Marco Carena se vogliamo darci un tono- li canticchi, le canzoni di Biagio per ora no. Con una maggior attenzione all’elemento “catchy”, anche Biagio può ambire al gotha del pop rock demenziale italiano; l’autoironia e i testi ci sono tutti.


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