Gli album del mese: Samia, Anti-Flag, Stanis & more

Samia – Honey
(Grand Jury Music, 27 gennaio 2023)
L’abbiamo già scritto in altre occasioni: il “mercato” delle sad indie girls negli ultimi anni è diventato talmente affollato che in un’ipotetica curva di Rogers saremmo sicuramente nella fase in cui la “late majority” adotta l’innovazione di questo tipo di prodotto. E però questo brulicante mercato continua a fornirci delle perle di cui sinceramente fatichiamo a pensare di poter fare a meno. Al di là del primo disco full length delle Boygenius che ormai sono talmente importanti da esulare dalla propria nicchia di riferimento iniziale, ce lo dimostra Honey, il secondo disco della cantautrice newyorkese Samia. Samia ha tutto quello che occorre per sfondare nel mondo della musica, ovvero due genitori importanti e ricchi (i famosi attori Kathy Najimy e Dan Finnerty), una bella e spigliata presenza, e un talento musicale innegabile. Il suo modo di fare indie pop potrebbe inserirsi nell’alveo di quello di artiste come Maggie Rogers, Lucy Dacus e Phoebe Bridgers, anche se nelle sue canzoni ci sono meno chitarre e più sonorità al synth (spesso un synth discreto e molto molto minimale, come nella bellissima Kill Her Freak Out o in Sea Lions o ancora in Breathing Song). L’ironia sottile -a volte anche autoironia- che pervade la maggior parte dei testi è un altro carattere saliente della scrittura di Samia, e ovviamente aiuta i brani a risultare relatable per tutta la generazione di ventenni occidentali d’oggigiorno; si parla d’amore, di serate con gli amici e di esperienze quotidiane, alla fine la parte “sad” è data principalmente dalle sonorità più che dal contenuto dei brani -e nemmeno sempre: Amelia e Mad at Me sono brani fondamentalmente pop, quasi mainstream, che andrebbero bene anche in radio. Avevamo quindi bisogno di un’altra sad indie girl? Honey di Samia ci risponde “assolutamente sì”.
Anti-Flag – Lies They Tell Our Children
(Spinefarm Records, 6 gennaio 2023)
Album numero tredici per gli Anti-Flag, che nel recente passato hanno saputo regalarci degli ottimi dischi -pensiamo ad American Spring o 20/20 Vision– a dispetto dell’età che avanza. Lies They Tell Our Children si presenta come il disco con più featuring che la band abbia pubblicato sin qua, anche se i tanti (e di ottima qualità) ospiti presenti sul disco non fanno quasi mai la differenza, né lasciano particolare traccia: è il caso di un impalpabile Shane Told dei Silverstein su Laugh. Cry. Smile. Die., ma anche di Ashrita Kumar dei Pinkshift o di Stacy Dee delle Bad Cop/Bad Cop, alle quali sono affidati dei bridge di modesto valore che non fanno certo intravvedere le capacità e il potenziale delle due vocalist, né modificano sostanzialmente i pezzi; un po’ meglio Tim McIlrath dei Rise Against su The Fight of Our Lives o Jesse Leach dei Killswitch Engage su Modern Meta Medicine. La formula per il resto non è cambiata troppo: si tratta di dieci canzoni punk rock veloci ed energiche ma estremamente ascoltabili e “catchy”, di denuncia contro il capitalismo e la società occidentale. In generale comunque l’impressione è che gli Anti-Flag abbiano privilegiato la creazione di momenti “da singalong” per i live (con coretti, “oh oh oh” e simili) che un songwriting potente e veramente memorabile -per il quale, va detto, servono comunque idee fresche e nuove che non sempre è facile avere dopo trent’anni di carriera. Lies They Tell Our Children non è certo un disco da buttare, però non sembrano esserci singoloni capaci di fare la differenza come invece era accaduto anche solo di recente (vedi American Attraction o The Disease), né che le idee che la band ha messo sul piatto siano particolarmente convincenti.
Stanis – Living Has Consequences
(self-released, 13 gennaio 2023)
Nome noto da qualche anno a chi bazzica la scena punk rock italiana, gli Stanis con Living Has Consequences giungono al loro secondo lavoro sulla lunga distanza, dopo l’esordio del 2019 con Tales from Modern Society. La band non ci mette molto a far capire quali sono i propri obiettivi e i propri riferimenti musicali: sin dalle prime note dell’opener To Realize veniamo proiettati in una dimensione che si rifà appieno al punk rock anni ’90 (quello di Lagwagon e NOFX) e primi ’00 (vedi i Midtown di Gabe Saporta). Le canzoni sono veloci, dirette, energiche, ma anche parecchio catchy, sia nelle melodie che nei riff di chitarra; alcuni brani sono fulminei, con la tautologica To Be Short che tocca appena i 30 secondi o To Realize che non arriva a due minuti; i testi parlano di esperienze di vita, amicizie, rimpianti, il passaggio del tempo e anche ovviamente dell’amore per la musica. Living Has Consequences è un disco rapido da ascoltare (quindi non potete neanche usare la scusa che non avete tempo!) ma che non può lasciare indifferente chi ama i riff di chitarra punk, i brani su cui scatenarsi sottopalco, e un bel ritornello accattivante piazzato al punto giusto.
Giannutri – Giannutri
(self-released, 28 dicembre 2022)
Nuovo EP -dopo due album full length- per i Giannutri, uscito il 28 dicembre appena in tempo per poter vantare la dicitura “2022” accanto al nome, ma troppo tardi per poter sperare di finire nelle liste di fine anno con le migliori release. È un veloce EP i cui quattro brani sono “come quattro stagioni di uno stesso anno raggruppate in due aree tematiche, una fredda e una calda, richiamate dai colori dell’artwork bianco (Apollo 113 e Piccolo paese) e nero (Ma non per te e Mantra)”. Le prime note di Apollo 113 ci presentano una chitarra il cui sound ci pare arrivare da oltreoceano, tanto che siamo quasi sorpresi quando parte la voce e la sentiamo cantare in italiano. Ma al di là del piccolo moto di stupore interiore, non possiamo non riconoscere che Apollo 113 è veramente un bel brano, di un alternative rock con riff di chitarra accattivanti che ti trasportano direttamente lungo l’Oceano della West Coast al tramonto con un bel sole rossiccio; ci sarebbe piaciuto forse un sound un pochino più pieno, magari lasciando anche un po’ più di spazio nel mix agli strumenti a “scapito” della voce, ma dettagli. Le stesse positive considerazioni che si possono fare anche per Piccolo paese, più tranquillo del brano precedente ma ugualmente orecchiabile (e con una cit. a Malesani che da grandissimi fan del Mollo abbiamo adorato). E queste sono chiaramente le due canzoni “calde”. Quelle fredde costituiscono la seconda metà dell’EP e si situano anch’esse su binari alternative rock, ma molto più tormentato, riflessivo, introspettivo; nel caso di Mantra anche possente, con schitarrate a tratti vicine a quelle tipiche dell’emo. L’EP dei Giannutri è veramente breve, ma questo è anche un vantaggio perché fa sì che tutte le canzoni siano davvero significative e in grado di lasciare il segno; forse in qualche lista di fine anno ci sarebbero anche potuti finire, sicuramente l’avrebbero meritato.
Smokin’ Velvet – Jalapeño
(La Rue Music, 20 gennaio 2023)
Conosciuti con i loro due singoli Scarseez e Lontano da qui, e poi protagonisti anche di una bella chiacchierata con noi, gli Smokin’ Velvet pubblicano infine il proprio album d’esordio, che si intitola Jalapeño perché come un peperoncino “sembra piccolo e innocuo, ma dentro ha un fuoco che brucia”. Il produttore e musicista Dreabb e il rapper Deep Sheet confezionano un disco compatto, di sette tracce di cui una ([Stage] Diving) potremmo definirla un interlude e pure generalmente brevi, ma che riescono a esprimere in modo convincente tutto quello che gli Smokin’ Velvet hanno da mettere sul piatto in questo momento. Il loro modo di fare rap è -verrebbe quasi da dire- old school, con beat spesso minimali (vedi Gricia o Neruda) e un focus sul cantato molto “al naturale” (in un mondo in cui questo genere è stato ultimamente spesso associato a autotune più o meno spinti), ma senza rinunciare a una certa estrosità negli arrangiamenti: in brani come Lontano da qui e [Stage] Diving si sentono evidenti influenze R&B, così come Un numero di troppo sconfina in atmosfere più dark e minacciose, e nel finale di Neruda si sente pure una tromba. Degli Smokin’ Velvet ci piace l’essenzialità con cui comunicano in modo diretto all’interno dei propri brani, sia a livello testuale che musicale; un salto di qualità ulteriore potrebbe essere l’introduzione di elementi più “catchy” e accattivanti all’interno dei brani per far sì che diventino anche memorabili.
I Gini Paoli – Esotica naturalizada
(Marsiglia Records, 13 gennaio 2023)
Un disco multiforme, poliglotta, etnico e festoso con il pallino per l’ambiente; in un mondo di tag e metadati precisi, Esotica naturalizada non è un disco facile da inquadrare. Si passa dalla cumbia all’afrobeat al rock psichedelico senza soluzione di continuità, ma sempre con grande naturalezza. Naturalezza che diventa “stato di natura” quando ci s’immerge più in profondità dentro al concept eco-politico del disco, dove la metafora di una pianta appunto “esotica naturalizzata” diventa simbolo di adattamento ma anche di commistione in una narrazione glocale in cui un disco prodotto a Genova evoca un luogo diverso a ogni traccia.
Giuseppe D’Alonzo – Fantasmi di carta
(self-released, 14 ottobre 2022)
È arrivato già al sesto album Giuseppe D’Alonzo, chitarrista e cantautore pescarese che è rimasto finora nel sottobosco underground della musica italiana ma che ha evidentemente avuto una prolificità piuttosto fuori dell’ordinario. Il suo Fantasmi di carta è un disco concepito come “un viaggio alla ricerca di ciò che davvero conta: l’amore, l’arte, la natura e tutto quello che ci riporta in contatto con chi siamo nel profondo”. Si tratta di un album di addirittura sedici brani -scelta piuttosto incomprensibile dato che in questo modo la durata finale arriva a quasi un’ora- che si posizionano in primis su sonorità rock e blues con influenze cantautorali piuttosto evidenti. Chitarre in primo piano, e non potrebbe essere altrimenti, ma anche qualche piccolo esperimento qua e là. Si nota infatti un curioso uso dell’autotune sulla title track Fantasmi di carta, che in questo genere e con questi suoni non ci aspetteremmo per nulla, ma a dire il vero l’effetto non è così male come si potrebbe pensare -sarà che non siamo abituati a sentirlo. Altrove D’Alonzo si concede qualche “pausa” strumentale, come negli interlude Martha’s Vineyard e Arpeggi a Galata, mentre qualche brano prende una veste quasi country (vedi A piedi nudi). La ballad è senz’altro il tipo di canzone prevalente in questo disco, caratterizzato dai ritmi riflessivi e lenti e da atmosfere interiori e malinconiche. La qualità artistica di Giuseppe D’Alonzo non si discute, e anche la produzione è calibrata sapientemente sulle esigenze di questo disco, però vista anche la poca varietà di ritmo tra un brano e l’altro, torniamo a ripetere che un’ora di musica ci pare davvero troppa per arrivare integri alla fine dell’ascolto.
Lazzaro – Lazzaro
(La Rue Music, 27 gennaio 2023)
Arriva finalmente al grande passo del disco d’esordio Lazzaro, cantautore pistoiese che avevamo conosciuto nel corso del 2022 con un paio di singoli anticipatori. La sua opera prima si chiama Lazzaro proprio come lui, ed è un disco che lui ci dice “frutto di una reazione a un senso di vuoto, all’apparente complessità delle cose che diventa ricerca, analisi”. Si compone di nove brani caratterizzati da una sorta di synthpop oscuro e intimista: le chitarre ci sono (si veda, su tutte, Fiore che sul finale arriva quasi a sfiorare il post-punk), ma sono i suoni computerizzati a recitare la parte dei protagonisti per quanto riguarda il lato musicale del disco, e sono synth che danno nel complesso sensazioni algide, spesso alienanti, come in Pulviscolo e Oro (che non è una cover di Mango). La voce di Lazzaro è più tradizionalmente cantautorale, spesso raccolta ma sempre dotata di un certo fascino e di una certa capacità di imprimere la giusta dose di emozione alle parole che canta, anche quando le sonorità si fanno un pochino più movimentate e più vicine al classico pop come in Salvo Lima o in Emorragia; colgono alla sprovvista un paio di passaggi in inglese che Lazzaro infila nei brani, ma è una variazione che ci sentiamo di approvare, anche perché si inserisce nei brani in maniera molto fluida. Lazzaro non è il disco che ti entra in testa dopo un ascolto, però è un album accessibile nella sua ricercatezza artistica e sonora, coerente nel proprio sound anche nella diversità di un pezzo dall’altro, e frutto evidente di un lavoro meticoloso in studio e pre-studio.
Middle Disaster – It’s OK
(Elevate Records, 27 gennaio 2023)
Avevamo conosciuto all’incirca un annetto fa i Middle Disaster con il loro singolo It’s OK, un brano energico e carico in stile The Offspring. Li ritroviamo ora con un EP che ha lo stesso titolo, ma che in parte ci spiazza, perché le sonorità di quella canzone le ritroviamo di base soltanto nel brano stesso e nella traccia finale Sarà l’età. Sul resto dei brani di questo lavoro infatti la band romana si situa generalmente in quella fascia che sta tra l’alternative rock pesante e l’hard rock leggero, arrivando a toccare sonorità alla Metallica nella rock ballad Fire in Your Veins. Non che questo sia un male ovviamente, anche se quelle due canzoni più punk rock inevitabilmente finiscono per sembrare un pochino fuori luogo nell’ambito dell’EP. I primi cinque brani sono in inglese, con pronuncia che risente dell’accento italiano della cantante, mentre le ultime due tracce vengono cantate in italiano, anche se il cantato in lingua madre sembra un po’ meno convinto di quello in inglese. It’s OK è un buon EP d’esordio in ogni caso, dove i Middle Disaster sfoggiano parecchia carica, energia e voglia di mettersi in mostra; una produzione più pulita non avrebbe forse guastato, specialmente nei pezzi più leggeri, ma se la band saprà trovare una direzione più omogenea e affinare songwriting e qualità della lavorazione in studio, potrà senz’altro dire la sua nel panorama musicale alternativo italiano.
Leo Lennox – Souvenir Altrove
(Revubs Dischi, 27 gennaio 2023)
Nome d’arte molto accattivante quello che si è scelto Leo Lennox, giovane rapper al primo disco con questo suo Souvenir altrove, fuori per Revubs Dischi. L’artista presenta dodici tracce, con un brano di apertura e uno di chiusura a fare da cornice all’album con il loro sound al pianoforte. La cosa che colpisce subito di questo disco è il fatto che la maggior parte delle canzoni accosta a un cantato rap/hip hop abbastanza tradizionale delle basi che si muovono fra il synthpop e l’EDM: Leo Lennox si affida molto più al synth che a canoniche basi hip hop, arrivando a presentare anche tracce parecchio ritmate come Fari spenti e Troppe bugie. E se sonorità più tipicamente hip hop non mancano nel disco (vedi La gente dove va o Orwell), l’artista mostra anche una buona capacità di inserire ritornelli e parti più catchy, orecchiabili e senza dubbio mainstream (in primis su Ad alta voce e Nemmeno il cielo).
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