Recensioni al buio: “Emotionally Numb” by Hertzen

Hertzen Emotionally Numb copertina

 

Su richiesta di nessuno, tornano le mitologiche “recensioni al buio”, questa volta su una casa nuova visto che la precedente (aim a trabolmeicher) è defunta nel 2019 in seguito al concerto degli Weezer. Se volete dare un’occhiata al paragrafo in cui pomposamente spiegavamo l’idea dietro alle recensioni al buio, potete farlo qui (non giudicateci per il linguaggio ironicamente ampolloso: eravamo giovani e stupidini).

Questa recensione al buio è un po’ meno al buio del solito perché gli Hertzen già li conosco dal loro precedente disco Ananke (2021). Potrei definirla una recensione in penombra. Il loro disco si chiama Emotionally Numb, che vuol dire una cosa decisamente poco piacevole perché non poter provare alcuna emozione non è mica bello, altro che Comfortably Numb, no?

Loro come duo sono un gruppo particolare: sono composti da May Rei, autrice dei testi e cantante, di origini pugliesi, e da Self, autore delle musiche, di origini brasiliane, ma i due si sono conosciuti in Germania e cantano in inglese. Una sorta di poster boys per la multiculturalità e il mondo senza barriere. Il loro sound viene definito come “rock sperimentale cupo che abbraccia suoni elettronici che richiamano i synth degli anni ’80”, che detta così fa quasi paura ma in realtà ci suona assolutamente familiare e in linea con quanto abbiamo udito su Ananke.

Ben più paura fa la tracklist di questo disco: Spotify mi informa che l’album dura ben 50 minuti, una durata decisamente ampia, che mi fa fare più di qualche sospiro intanto che cerco la forza di premere play. Lo faccio? Lo faccio.

Si parte con Secret Sins, brano già sentito come singolo anticipatore del disco. Linea di basso marcata con un beat e la voce di May Rei; poco altro. Si tratta di un brano molto minimale nell’arrangiamento e nelle sonorità. Le atmosfere del brano, un pochino oscure, fanno sì pensare a qualche “peccato segreto” che la canzone potrebbe raccontare, anche se la voce dolce di May dissipa senz’altro la potenziale aria dissoluta del pezzo. Immaginatevi i The Cure rifatti elettronicamente, per una partenza non certo a mille all’ora ma comunque di atmosfera.

Si resta nell’ambito del peccato con la seconda traccia, intitolata The Last Temptation (non “of Christ”). Sound sempre minimale, testo un pochino ripetitivo e nel complesso la sensazione di un brano ipnotico. Senza la voce potrebbe essere la colonna sonora di qualche gioco d’avventura misterioso per la Play Station di inizio anni 2000. Apprezzato comunque il cambio di passo sul finale quando interviene una chitarra elettrica a scompaginare un po’ la tavola.

A questo punto comincio a pensare che se dedico a ogni pezzo uno spazio simile a quello dato ai primi due, viene fuori un saggio breve più che una recensione, per cui forse è il caso di sintetizzare un pochino, per quanto sia possibile farlo per un articolo di questo tipo. Take Me to the Moon si mantiene su atmosfere simili ai primi due brani, ma sul finale troviamo delle percussioni tipo tam tam di guerra e un effetto organo quasi prog che durano però appena il tempo di accorgersene. Danger prosegue la serie di titoli “minacciosi” (che continua lungo la tracklist con pezzi come Vampires and Angels e Hypnotized) e se possibile è ancora più minimal dei brani precedenti anche se forse un po’ monotona nelle linee vocali.

Emotionally Numb continua a muoversi sulle atmosfere cupeggianti del mistero con i pezzi che seguono, a partire da Revelations con la sua decisa base fatta di synth; non possiamo peraltro fare a meno di notare come la canzone abbia lo stesso titolo dell’ultimo libro della Bibbia e duri esattamente 3:33 minuti che è il numero del Creatore o qualcosa del genere. Sulla traccia 6 si torna a casa (Coming Home), ma in realtà il sound è in continuazione con quanto udito fin qui, per cui mi verrebbe da dire che da casa non ci siamo mai allontanati, hah.

La traccia 7 non parla di me, perché si chiama Out of Time ma io ho ancora un paio d’ore buone per finire questo ascolto prima di andarmene a nanna. In compenso il suo sound è (molto) leggermente differente dai pezzi che l’hanno preceduta, con una strumentazione vagamente più light (compreso un piano) e vibe meno tetre anche se sempre un po’ fantasmiche. È la canzone che contiene l’espressione “emotionally numb” che dà il nome al disco degli Hertzen.

A seguire troviamo la doppietta Unheard Words e White Frost (che è tipo il simmetrico di black ice?), ma devo dire che arrivato a questo punto del disco comincio a sentire un po’ di fatica, dettata anche dalle sonorità minimali e non certo super ritmate o megacatchy dell’album, e sicuramente anche dal fatto che questi due brani durano ben cinque minuti a testa. E di canzoni ce ne sono altre quattro. Forse gli Hertzen avrebbero potuto contenersi un filino di più, magari anche solo con un paio di tracce in meno. Ma non si demorde.

Hypnotized è pressappoco come mi sento dopo l’ascolto di questa traccia (venendo dalle nove precedenti in particolare), mentre Hope potrebbe benissimo essere la canzone più minimale del disco: praticamente solo batteria e voce, con qualche effetto sonoro e riff di chitarra che si inseriscono qua e là. Si chiude con Vampires and Angels e Believe, senz’altro in linea con le sonorità proposte dagli Hertzen fin qui su Emotionally Numb per quanto la traccia di chiusura provi a proporre qualche arrangiamento più elaborato e offra tonalità più luminose e chiare.

Emotionally Numb non è un ascolto facile, per nulla. I suoi 50 minuti si dipanano in 13 tracce tutte (o quasi) molto minimali, con poche variazioni nel cantato e nelle atmosfere evocate dai brani. Il rischio di arrendersi da qualche parte lungo la tracklist è alto… così come immagino sia alto il rischio di arrendersi da qualche parte lungo questa recensione altrettanto estesa, quindi chi sono io per giudicare gli altri? Dico solo che questo è un disco dai toni serali se non addirittura notturni, magari da mettere sù mentre si fa una sessione vespertina di qualche gioco online.

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