Gli album del mese: Yellowcard, The Maine, The Front Bottoms & more

Yellowcard – Childhood Eyes
(Equal Vision Records/Rude Records, 21 luglio 2023)
Quando gli Yellowcard si sono riuniti per la seconda volta, nel 2022, eravamo presi molto bene. Quando hanno annunciato l’uscita di un “reunion EP” eravamo un po’ meno presi bene perché dai, almeno un disco intero ce lo aspettavamo dopo sette anni. Ma tant’è, siamo comunque felici che la band sia di nuovo insieme e abbia voluto scrivere nuova musica, per cui eccoci qui con questo Childhood Eyes, cinque canzoni che potrebbero collocarsi idealmente a metà strada fra Paper Walls (2007) e l’album self-titled (2016) con cui gli Yellowcard ci avevano salutati per l’addio definitivo alla musica che poi non era vero. Il pop punk che segnava i dischi migliori della band qui è quasi completamente abbandonato, ma per un gruppo i cui componenti viaggiano attorno ai 45 anni ci sembra una scelta sensata, e anzi gradita. Quello di Childhood Eyes è per lo più un alternative rock un po’ più spinto e veloce, assolutamente non di rottura o fuori luogo rispetto alla discografia della band, ma sicuramente non affine agli album più acclamati come Ocean Avenue o Southern Air. E questa è anche una scelta artisticamente lodevole, perché cercare di cavalcare ancora l’onda del successo di Ocean Avenue (a maggior ragione nell’anno del suo ventennale) sarebbe stato facile, ma sarebbe probabilmente anche venuta fuori una brutta copia di quella versione degli Yellowcard.
Delle cinque canzoni, ce n’è una in particolare che è davvero bella, cioè Honest from the Jump, che riprende il ritornello di Brighton, canzone solista di William Ryan Key dal suo ultimo EP Everything Except Desire: strofe potenti, ritornellone aperto e memorabile, fa subito breccia piazzandosi senz’altro nella parte alta della classifica dei brani della band. Fa da contraltare Childhood Eyes con il suo quasi-indie rock un po’ troppo leggerino per il gruppo. Il resto dei brani è gradevole (soprattutto The Places We’ll Go, già uscito in via non ufficiale come brano di William Ryan Key) ma non fa davvero la differenza, per cui possiamo dire che questo EP ci piaciucchia ma non si avvicina nemmeno lontanamente alla maggior parte dei dischi del gruppo -anche per meriti della band, che ha pubblicato una serie davvero lunga di capolavori. Ci sembra comunque accettabile come “prima prova” di reunion, in attesa magari di un disco intero che potrebbe arrivare il prossimo anno.
The Maine – The Maine
(Photo Finish Records/8123, 1 agosto 2023)
Fino al 2021 la discografia dei The Maine aveva presentato quasi solo dischi davvero belli e dotati di uno stile tutto proprio e riconoscibile all’istante che la band ha saputo sviluppare nel corso di quindici anni. Quell’anno era uscito XOXO: From Love & Anxiety in Real Time che aveva simili caratteristiche sonore agli altri dischi (forse un po’ più pop) ma suonava molto meno convincente e riuscito. Il 2023 vede la pubblicazione di un disco self-titled, che nella maggior parte dei casi, quando non si tratta dell’album d’esordio di una band, è indice di poca originalità e scarsa vena creativa. Anche i The Maine non si sottraggono al trend: The Maine è un disco simile a tutti quelli che l’hanno preceduto negli ultimi dieci anni, ma annacquato, poco energico, privo della scintilla vitale. I brani hanno in generale un’aura un pochino più pop e minimale, ma non è tanto questo a rendere il disco poco convincente, quanto l’assenza di ritornelli riusciti, lo strumentale ripetitivo, i testi riciclati da altri album. A parte un buon singolo come How to Exit a Room, resta poco di memorabile in The Maine, e il disco si affloscia definitivamente nell’ultima parte, con tre pezzi lentissimi e monotoni che uccidono qualsiasi rimasuglio di speranza in un raddrizzamento della rotta di quello che è fuor di ogni dubbio il peggior album della band dell’Arizona.
The Front Bottoms – You Are Who You Hang Out With
(Fueled by Ramen, 4 agosto 2023)
Tre anni dopo il tremendo In Sickness & in Flames, tornano i The Front Bottoms con un album che sembra un pochino chiedere scusa per quella bruttura. La band di Brian Sella ritorna in parte sui propri passi, riproponendo quel tipo di indie rock molto peculiare che ha reso celebre la band, anche se sempre con un approccio più leggerino e più pop che in passato. Alcuni brani reggono senza problemi il confronto con i dischi migliori del gruppo, in particolare i singoli Emotional, Outlook e Punching Bag, o un brano come Not Joking; altrove il disco risulta un pochino insapore. Fanno eccezione invece i due brani lenti, che viaggiano su ritmi bassissimi e durano un’infinità: Finding Your Way Home è una ballad parecchio noiosa, mentre Paris l’hanno palesemente infilata nel disco apposta per essere fastidiosi perché davvero non ha senso di esistere come canzone. C’è anche una traccia che si chiama letteralmente Batman e dice “Batman raises his hands when I take the picture to cover his face”, ma qui torniamo ai soliti cari e vecchi testi un po’ a caso dei The Front Bottoms, e quindi ci sentiamo a casa.
Chris Farren – Doom Singer
(Polyvinyl Records, 4 agosto 2023)
Quattro anni dopo il suo iconicamente intitolato Born Hot, Chris Farren torna con un nuovo disco, con un nome altrettanto iconico ma sul lato più preso male, cioè Doom Singer. L’artista della Florida ha scritto i brani con Melina Duterte aka Jay Som, e con la sua nuova batterista Frankie Impastato dei Macseal, motivo per cui Doom Singer è un’opera molto più collaborativa rispetto ai precedenti dischi; c’è anche l’ovvia comparsa dell’amicone Jeff Rosenstock che sul disco suona il sax. L’album è stato preceduto da alcuni singoli veramente fighi: Cosmic Leash in particolare continua a risuonarci nelle orecchie come uno dei singoli punk rock dell’anno, ma probabilmente anche del decennio; Bluish e First Place non arrivano esattamente a quel livello ma sono dei bellissimi pezzi alternative / punk. Il resto del disco fatica un po’ a decollare allo stesso modo. Ci sono brani gradevoli (in particolare la title track), ma il ritmo non accelera mai in modo decisivo e la sensazione è che le canzoni stesse non restino troppo impresse nella mente. Doom Singer è insomma uno di quei dischi che hanno singoli di altissimo livello, ma che poi non mantengono l’asticella così alta nel resto della tracklist, finendo inevitabilmente per generare un po’ di delusione anche di fronte a un disco nel complesso più che discreto.
Echosmith – Echosmith
(self-released, 28 luglio 2023)
La carriera degli Echosmith è sempre stata stranissima, a ben pensarci. Tre fratelli e una sorella che formano una band poco più che bambini, sotto la supervisione del padre evidentemente super-immanicato visto che li fa subito firmare per Warner; nel 2014 Cool Kids, una delle canzoni contenute nel disco d’esordio uscito l’anno prima, diventa virale (in radio, come si usava allora) e sembra proiettare la band sulla strada della pop stardom. Poi un silenzio inspiegabile, un disco che sembrava sempre pronto a uscire ma che è stato accantonato per non si sa quali motivi, un EP (pure carino in realtà) nel 2017 che non ha riscosso alcun successo, e l’addio a Warner. Un brutto album uscito nel 2020, Lonely Generation, pareva aver fatto deragliare la carriera del gruppo, ma a quanto pare i fratelli Sierota avevano ancora qualcosa da dire.
Il loro nuovo disco è un self-titled, ma a differenza di molti self-titled non è noioso, banale e ripetitivo. Gli Echosmith mettono definitivamente da parte il pop sbarluccicoso dei primi lavori per proporre una versione molto più intima di sé stessi, sebbene pur sempre accattivante e di facile ascolto. Stupiscono i testi, che non sembrano più scritti a tavolino da una persona più grande a proposito del nulla (come spesso avviene in ambito pop mainstream) ma riflettono esperienze che appaiono vere e tangibili per come sono raccontate. Un album che peraltro non ci aspettavamo dopo aver ascoltato i singoli arrivati prima della sua pubblicazione (vedi Gelato o Hindsight, probabilmente tuttora i brani peggiori dell’album), che presentavano un poppettino leggero e annacquato, totalmente dimenticabile.
Non ci sono forse grandi hit su questo disco, e questa sarà probabilmente la sua più grande pecca visto che stiamo parlando di un disco pop: ci stupiremmo molto se quest’album dovesse finire per fare successo (per come è inteso oggi quantomeno), e magari non rilancerà nemmeno la carriera degli Echosmith ad alti livelli, ma tutti quelli che hanno messo da parte la band dopo Cool Kids farebbero probabilmente bene a dare una chance all’album, disco “della maturazione” perfettamente riuscito.
Sundressed – Sundressed
(Rude Records, 11 agosto 2023)
Tre anni fa i Sundressed avevano pubblicato Home Remedy, un bellissimo album sul tema della salute mentale, sempre per Rude Records. Il suo successore è, per qualche motivo, un disco self-titled. Non stiamo a ripetere la nostra teoria sugli album self-titled (la potete comunque trovare qui sopra per i dischi dei The Maine e degli Echosmith), ma anche in questo caso la teoria si dimostra corretta: Sundressed è un album fiacco e poco ispirato, lontanissimo dal mix di leggerezza sonora, introspezione lirica e catchiness che caratterizzava Home Remedy. La leggerezza sonora c’è ancora, ma mancano quasi completamente i momenti memorabili, e anche i testi sembrano un po’ più casual. Non possiamo fare alla band troppo una colpa per i testi magari, specialmente per un disco che immaginiamo nato post-pandemia e quindi con un po’ più di voglia di lasciarsi problemi e negatività alle spalle, ma la mancanza di veri e propri brani forti è sì una pecca grave del disco, che scorre per la sua mezz’oretta facilmente e abbastanza gradevolmente, ma senza riuscire a lasciare grandi tracce di sé nemmeno dopo svariati ascolti.
All Coasted – Never Ending Puppet Show
(self-released, 9 giugno 2023)
Gli All Coasted tornano a quattro anni dal full lenght Time Flies When You’re Drunk con un EP composto da cinque tracce, brevi e nel segno dello skate punk. Sono brani socialmente impegnati, anche se a sentire il sound solamente A Cow to Milk e Never Ending Puppet Show – in apertura e chiusura di disco – ce lo suggeriscono, spingendo l’acceleratore in una direzione che ricorda gli (ormai defunti) Anti-Flag. With Blinkers, Nothing but Shit e Bird in a Cage propongono invece un punk più classicamente californiano che a voler ignorare i testi pare disimpegnato e cazzaro; in ogni caso ci si diverte dall’inizio alla fine e l’album pone le basi per un solido pogo ai live. Il gruppo di Vicenza non dà a vedere le proprie origini italiote e in questo genere di solito è un buon segno: più che dalla East Coast italiana sembrano provenire dalla West Coast statunitense. [Simone De Lorenzi]
Rosy Messina – Dentro
(self-released, 6 giugno 2023)
Corista per Alex Britti, Fiorella Mannoia, Amedeo Minghi e Annalisa Minetti, una lunga esperienza di collaborazioni e performance dal vivo, ma per Rosy Messina è ora il momento di pubblicare il primo album di canzoni tutte proprie. Questo Dentro è un lavoro di sette tracce che vedono un approccio sonoro fra pop e rock, molto debitore delle declinazioni italiane classiche di questi due generi, e in questo si sente probabilmente anche netta l’influenza degli artisti con cui Rosy ha collaborato negli anni. Il disco è suonato bene, anche se difetta forse un pochino di originalità suonando un po’ troppo classico. La voce di Rosy è chiaramente protagonista, mettendo in mostra un gran controllo vocale e un’ottima padronanza tecnica dello strumento; quello che a più riprese sembra mancare è però un approccio meno impostato e maggiormente capace di lasciare briglia sciolta all’emozione e alla passione nell’interpretazione dei pezzi: nel cantare le sue canzoni, Rosy Messina sembra non essersi del tutto lasciata alle spalle l’esperienza da corista.
Emanuele Pintus – Atentzione Amore Connessione
(MSound, 21 luglio 2023)
Matto totale Emanuele Pintus. Lo si può capire già solo dal fatto che quando gli chiedono le influenze del suo nuovo EP lui risponde “vari poeti improvvisatori sardi della poesia “a bolu”, i Polyphia, i Turnstile, Paolo Nutini”. Robe che non solo non c’entrano nulla l’un l’altra, ma che vivono in mondi completamente separati e mai destinati a incrociarsi. Tranne che nel disco di Emanuele Pintus. I brani sono cinque, i generi probabilmente il doppio. In prevalenza forse c’è il punk, ma pure quello viene esplorato in tante delle sue ramificazioni, dall’hardcore di C’mon My Captain al punk rock di Regione a ti cantari. Bumb’e Luna da sola probabilmente attraversa cinque o sei sound da sola, e c’è pure un brano pop (rock) acustico quasi alla Lùnapop che è Annibale Song. Sui testi di Atentzione Amore Connessione (che poi può essere una sorta di versione autoctona della TLC Turnstile Love Connection) non possiamo dire molto perché Emanuele Pintus canta quasi solo in sardo e praticamente l’unica cosa che dice in italiano è il motto “di birra e di fregna il baffo s’impregna” in Annibale Song, però quello che possiamo dire è che ci piacciono molto questi progetti che escono dal tracciato e fanno cose totalmente personali fregandosene di ogni regola e di ogni moda.
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