Musica e sessismo: Riccardo Burgazzi svela Il maschilismo orecchiabile

Riccardo Burgazzi Il maschilismo orecchiabile

Non troppo tempo fa Riccardo Burgazzi pubblicava Il maschilismo orecchiabile (Prospero Editore, disponibile a questo link), libro che si propone come indagine sociologica sull’egemonia maschilista utilizzando i testi delle canzoni come riscontro di un più generale e pervadente sessismo. Il saggio analizza la produzione musicale mainstream, circoscritta alla canzone pop del nostro Paese dagli anni Cinquanta ai giorni d’oggi: ovvero le canzoni che sono diventate popolari e la cui facilità di fruizione agevola quella superficialità nell’ascolto tipica dell’italiano medio, nutrito a falò sulla spiaggia e Festival di Sanremo.

Cinquant’anni e più di sessismo musicale

Il maschilismo orecchiabile è sostenuto da un ricco ventaglio di citazioni, che permettono di individuare alcuni tratti sessisti ricorrenti nell’immaginario comune. La rassegna di esempi mostra come l’uomo abbia un ruolo attivo negli stereotipi di rappresentazione della donna (Peppino di Capri, Le donne amano: «non le cambierai. / Sono l’amore: fragili, ma poi, / più forti di noi»): spesso angelicata e pura, «forse ingenua ma bella» (Gianluca Grignani, Una donna così), ma anche tentatrice e incantatrice (Litfiba, Regina di cuori: «Donna meravigliosa / sei donna pericolosa»). O ancora, serva e fedele compagna, che riflette un modello culturale dominante anche nella stessa autopercezione delle donne (Rita Pavone, La partita di pallone: «Perché la domenica mi lasci sempre sola, / per andare a vedere la partita di pallone?»; Mia Martini, Piccolo uomo: «Non mandarmi via / io, piccola donna, morirei»).

Gli uomini, «tutti con in mano birra e Camogli noi, / senza fidanzate troie né mogli» (883, Rotta per casa di Dio), non vogliono altro che una «donna con la gonna» (Roberto Vecchioni, Voglio una donna) «che stira cantando» (Umberto Tozzi, Ti amo). La retorica machista mostra, più o meno esplicitamente, lo squilibrio tra i generi. Ad esempio, quando viene lasciata, la donna si deve rassegnare al carattere volubile di lui (Nomadi, Un giorno insieme: «forse tu non capirai, / ma un uomo no, non è contento mai»); ma se è l’uomo a essere abbandonato, eccolo che rivendica un diritto di proprietà sulla sua compagna (Raf, Ti pretendo: «Io non ti voglio, ti pretendo; / è inutile che dici di no») ed è giustificato a trattarla male, secondo il Teorema di Marco Ferradini.

Burgazzi scova e mostra il maschilismo laddove non ce lo saremmo aspettati, anche in figure che così vengono indirettamente demitizzate come Battisti, De André, Gaber, Guccini; ad esempio Giorgio Gaber e Ivano Fossati mostrano l’atteggiamento paternalistico ne Le donne di ora: «Io sarei il sesso più forte e dovrei farle la corte». A grandi linee l’analisi condotta su questo retroterra patriarcale funziona. A volte, però, viene pretenziosamente forzata, pare che l’autore sia spinto a vedere la malizia dove non c’è e si serve di esempi non sempre contestualizzati; è inoltre condotta con uno stile iper-colloquiale e sarcastico che risulta forzato fino alla passivo-aggressività e vanifica i tentativi (pur riusciti) di evitare un pesante moralismo. In generale il saggio non è esauriente ma lancia tanti spunti e provocazioni che andrebbero approfonditi.

“Non si può più parlare di niente”

Non si tratta di politicamente corretto. Nel libro, anzi, non c’è traccia di pregiudizi woke: “Nessuna cantante e nessun cantante vengono accusati di maschilismo. Anzi, di più: si sostiene che non esistano persone maschiliste, ma atti, visioni e parole maschiliste. I lyrics sono usati piuttosto come documenti di un sentire comune a cui l’artista dà voce, e non necessariamente bandiere di un suo pensiero: nessuna cancel culture, dunque, piuttosto un invito a non vivere passivamente l’esperienza di ascolto; non a valutare la moralità dell’opera, ma a osservarne il rapporto con il mondo di cui è espressione.

Il maschilismo orecchiabile vale come affresco storico di un retroterra patriarcale che opera più o meno consapevolmente nella società. Non per questo le sue riflessioni sono datate; ascoltiamo Fuori controllo di Naska, uscita quest’anno: “Volevi il bello e dannato ma ci hai guadagnato, sono pure alcolizzato. / Esco dalla doccia tutto profumato e resto la cosa più punk che hai scopato”. Del cantante marchigiano e del suo male gaze hanno parlato altri di recente; ma sarebbe utile fare un bilancio di cosa sia rimasto oggi del maschilismo orecchiabile e valutare se sia operativa o meno una differenza generazionale.

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