Gli album del mese: Turnover, Tegan and Sara, Witch Fever & more

Turnover Myself in the Way copertina

Turnover – Myself in the Way

(Run for Cover Records, 4 novembre 2022)

Come si prosegue la propria carriera dopo aver pubblicato una pietra miliare quale Peripheral Vision? I Turnover l’hanno fatto nel 2017 (Good Nature) con un discreto shift nelle proprie sonorità e soprattutto nel proprio mood: se Peripheral Vision era un disco autunnale e crepuscolare, Good Nature era un disco decisamente estivo, in modalità chill da relax su una spiaggia semideserta verso il tramonto con una discreta dose di psichedelici. Lo stesso mood che aveva poi anche il successore Altogether, frenato però da un songwriting meno ispirato, e che la band non ha abbandonato nemmeno nella propria ultima creazione. Myself in the Way è un album che ormai potremmo descrivere come “classico disco alla Turnover”: chitarrine leggere e un po’ groovy, vocals vagamente sognanti e soffusi, atmosfere soleggiate e molto rilassate. La differenza rispetto ai due dischi precedenti è piuttosto trascurabile, ma anche in questo caso mancano le canzoni veramente capaci di fare la differenza e lasciare il segno; un difetto che forse si può in parte spiegare con il doloroso addio nel 2017 al chitarrista e principale compositore Eric Soucy, sacrificato all’altare dell’emotional abuse che va tanto di moda in America. Austin sperimenta un pochino con l’autotune (con risultati non sempre memorabili); troviamo un paio di feat. interessanti fra cui quello con Brendan Yates dei pompatissimi Turnstile; e su qualche canzone (specialmente la title track e People That We Know) ci sono dei synth che sembrano usciti da qualche film degli anni ’80 con Adriano Celentano. Al di là di questo e del fatto che Myself in the Way è di base un disco poco incisivo, c’è anche da segnalare uno strano tempismo: l’album esce il 4 di novembre, con la stagione fredda ormai iniziata in qualsiasi Paese dell’emisfero boreale dove i Turnover abbiano dei fan -a parte forse le Hawaii e la California- ma questo non è un disco fatto per essere ascoltato con il gelo, le giornate corte e buie e la pioggia; è un disco per giornate estive rilassate con luce soffusa. Molto strano quindi che sia stato fatto uscire proprio adesso -e, se ci possiamo permettere questa critica a livello “strategico”, una decisione che appare sinceramente storta.


Tegan and Sara – Crybaby

(Mom + Pop, 21 ottobre 2022)

Tegan and Sara pubblicano il loro primo album senza l’apporto di una major dal lontanissimo 1999, e questo cambio non sembra essere stato per il meglio nel caso del duo canadese. Crybaby esce per Mom + Pop, etichetta piuttosto conosciuta nel mondo dell’indie, ed è il decimo album in studio delle sorelle Quin, anche se il precedente Hey I’m Just Like You era più che altro una collezione di B-side. Fin dai primi singoli si era capito che Tegan and Sara su questo disco avrebbero in parte abbandonato il sound smaccatamente synthpop (e mainstream) dei due album precedenti Heartthrob e Love You to Death, in favore di un parziale ritorno a sonorità più indie rock. Ascoltando il disco in toto, si può dire che questo sia vero solo in parte, perché Crybaby è ancora abbastanza ricco di canzoni allegre e poppeggianti, ma sicuramente c’è stato un deciso ritorno alle chitarre e a sonorità meno commerciali, seppur sempre molto accessibili. Quello che però è venuto meno è proprio il songwriting: mancano quasi del tutto ritornelli memorabili, incisi d’effetto, strofe convinte, e pure la strumentazione sembra piuttosto monotona e quasi “di sfondo”. Tutto questo però non sarebbe una tragedia, se non fosse per la cosa più terribile di questo album, e cioè che tutte le canzoni sono inspiegabilmente infarcite di ad-lib ed effetti sonori vocali onnipresenti e mega boomer che sembrano usciti dal cellulare di qualche cinquantenne incallito, a partire dalla vocina fastidiosissima che ripete “okay” nella canzone I’m Okay o dal ritornello di Pretty Shitty Time, solo per citare i più irritanti. Sembra di ascoltare un disco indie cantato dal Pulcino Pio o dagli gnomi che augurano buon Natale nelle chat di famiglia attorno al 25 dicembre. Una scelta che ha davvero dell’incredibile nel disco di un gruppo così famoso. Alla fine le canzoni lente (le ballad, per così dire) sono i pezzi più convincenti del disco: Whatever That Was continua ad avere quegli effetti vocali orrendi nel ritornello ma è tutto sommato un bel pezzo malinconico come Tegan and Sara sono capacissime di scrivere; Faded Like a Feeling è confortevole nella propria tristezza, nonostante il testo un po’ banale (“I changed like the seasons, you faded like a feeling”); Yellow probabilmente il pezzo migliore dell’album e molto apprezzabile anche This Ain’t Going Well. Tutto ciò non basta nemmeno in parte per compensare la produzione terribile che caratterizza il disco, e la mancanza di brillantezza di quasi tutta la tracklist.


Witch Fever – Congregation

(Music for Nations, 21 ottobre 2022)

Gli Witch Fever erano già finiti nei nostri radar da qualche settimana con l’uscita dei singoli di lancio del loro album di debutto Congregation, e sulla base delle canzoni già uscite ci aspettavamo un disco veramente figo. Non solo le attese non sono state deluse, ma sono state anche abbondantemente superate. La band di Manchester, non per nulla assorbita nel roster della sussidiaria heavy di Sony, Music for Nations, fa musica potente, aggressiva, a tratti feroce, tra il punk e il metal con chitarre thrash ma anche momenti di puro hardcore. La cantante Amy Walpole ruba chiaramente la scena con i suoi vocals spesso urlati in maniera violenta e primordiale, ma rivela anche di sapersi produrre in acuti e note aperte che richiedono una tecnica non certo secondaria. Dal vivo gli Witch Fever devono essere una potenza, se quel poco che abbiamo visto su YouTube e sui social rende live allo stesso livello. Ad aumentare l’attrattiva del disco sono poi le atmosfere spesso tetre, quasi da rituale esoterico e in parte creepy, date tanto dalla musica e dal cantato, quanto dalle tematiche dei testi, che risentono in modo evidente delle esperienze personali di Amy all’interno della Chiesa Carismatica, nella quale è cresciuta fino all’età di sedici anni quando ha deciso di abbandonare la comunità religiosa. Congregation è un disco quasi perfetto che straborda di energia, e finisce dritto sul podio dei dischi dell’anno.


Our Last Night – Disney Goes Heavy

(self-released, 15 novembre 2022)

Non fosse per le notifiche di Spotify, ci perderemmo la quantità di canzoni che gli Our Last Night continuano a sfornare in questo 2022. A soli due mesi da Decades of Covers arriva un altro album di reinterpetazioni che si intitola – facendo l’occhiolino alla serie Punk Goes… che veniva pubblicata da Fearless –Disney Goes Heavy e il perché è intuitivo; ci troviamo davanti a brani tratti da cartoni animati Disney più o meno recenti, tutti famosi classici: dal Re Leone a Frozen, da La Bella e la Bestia a Coco. Sono ben 23 tracce e l’alto numero si spiega con il fatto che la maggior parte è composta da sole strofe o ritornelli, superando a malapena il mezzo minuto: il gruppo ha così deciso di divertire con piccoli assaggi piuttosto che investire su versioni complete; fanno eccezione le due tracce pubblicate come singoli, ovvero This Is Halloween (dall’iconico Nightmare Before Christmas) e Surface Pressure (da Encanto, meno iconico ma sarà una questione generazionale). A un’operazione simile avevano già pensato un anno fa con un video su YouTube in cui si esibivano in un medley di mini-cover Disney (e alcune le ritroviamo anche in questo disco). Questa frammentazione permette al gruppo di mettere mano a diversi brani della vasta discografia disneyana e cercare di accontentare un po’ tutti. Il rovescio della medaglia va da sé; basta vedere il primo commento che si trova sotto al video citato: “Ciascuna di queste canzoni meriterebbe una versione completa!”, chiosava un utente (mentre altre persone invocavano un intero album a tema: eccole accontentate). Glissiamo sui risultati: lo stile degli Our Last Night è impeccabile in tutte le loro cover e anche queste non si sottraggono alla formula. [Simone De Lorenzi]


Magnolia Park – Baku’s Revenge

(Epitaph Records, 4 novembre 2022)

Dopo l’Halloween Mixtape dello scorso anno, i Magnolia Park pubblicano il loro vero e proprio primo album. La band è, insieme a Lil Lotus, la risposta di Epitaph Records alla nuova ondata pop punk che ha preso piede in America, e questo Baku’s Revenge è un disco che gioca pienamente secondo le regole attuali del genere. Gli otto brani che compongono l’album (tre tracce sono degli skits) vedono ritornelli super catchy e di immediato impatto cantati su chitarre distorte e cariche, accompagnati da strofe maggiormente influenzate dalle sonorità urban e hip hop. Esattamente quello che fa Machine Gun Kelly da due o tre anni a questa parte insomma; in casa Magnolia Park sembra che ci sia più la voglia di imitare le sonorità che al momento vanno di moda che la voglia di creare qualcosa di innovativo o personale, però tutto sommato i pezzi ci sono, la produzione è sapientemente pop e il cantato convincente quanto basta: se ti piace il genere, ti piaceranno anche i Magnolia Park.


Born Without Bones – Dancer

(Pure Noise Records, 4 novembre 2022)

Nuova firma di Pure Noise Records (che, a onor del vero, mette sotto contratto talmente tante band che facciamo fatica a stare al passo), i Born Without Bones hanno un nome bruttino ma fanno musica molto bella. La band è in giro ormai già da una decina d’anni, ma sembra che adesso le cose possano cominciare a voltare per il meglio: per il nuovo disco Dancer il trio ha lavorato con il leggendario Mike Sapone, l’uomo dietro a tutti i grandi album dei Brand New, oltre che di una discreta ciurma di gruppi emo e alternative rock tra i quali i Taking Back Sunday. La mano esperta si sente, specialmente nella produzione spinta al punto giusto, che sa valorizzare al meglio le buone capacità di songwriting della band, e anche la discreta varietà di sonorità che i Born Without Bones propongono sul disco. Ci sono canzoni più sull’indie rock carico (Dancer), brani più emo con tinte punk (Don’t Speak, Get Out), pezzi che potremmo definire “indie punk” un po’ tipo i Pup (Fistful of Bees) e anche una traccia come Sudden Relief che è una ballata sullo stile di quelle dei Man Overboard. In generale l’idea di sound nel suo complesso non è così distante da quella di un disco dei Say Anything, e se proprio dobbiamo trovare un difetto sta nel fatto che forse c’è una o due ballad/canzoni lente di troppo, anche se poi nessun brano fa da filler o risulta effettivamente troppo moscio rispetto al resto della tracklist. Un disco solido di una band che merita ampiamente una chance.


Phomea – Me and My Army

(Beautiful Losers, 11 novembre 2022)

Phomea è il nome d’arte sotto il quale si cela Fabio Pocci, artista toscano attivo da una decina di anni, con un EP d’esordio (La stessa condizione) che risale al 2012, e l’ultimo disco (Annie) che era datato 2019. Con il suo nuovo album Me and My Army, Phomea inaugura la collaborazione con l’etichetta Beautiful Losers, che dà voce e possibilità a progetti “bellissimi e sfigati” -appunto- perché magari propongono musica lontana dai canoni commerciali ma sempre di alta qualità. L’armata a cui fa riferimento il titolo del disco è piuttosto letterale: si tratta di ben venti musicisti che hanno partecipato a vario titolo alla scrittura e alla registrazione dell’album, che si configura quindi come un’opera solista e corale allo stesso tempo. “Non vogliamo essere diversi. Siamo diversi. Siamo tutti in un qualche modo sbagliati ed è proprio questo che alla fine ci rende simili. Non siamo soli. Non dobbiamo essere soli in questa guerra. Questa è una guerra, l’ennesima contro noi stessi, e questa è la mia armata”, spiega Phomea a proposito del disco. Un disco che a livello di sound si presenta come essenzialmente acustico, anche se compaiono delle chitarre elettriche come in Lover e What About Us, e l’arrangiamento è sicuramente arricchito dalla presenza di un campionario piuttosto vasto di strumenti, dal sintetizzatore al pianoforte agli archi, si vedano tracce come Me and My Army o Perfect Stone. Il mood è pacato, tranquillo e riflessivo, così come la voce di Phomea che raramente si discosta dal tono raccolto e confidenziale. Un paio di tracce -Lover e Run- si presentano come maggiormente upbeat e con un ritornello che potremmo quasi definire accattivante, mentre il resto dei brani si sviluppa più ricercando un’atmosfera che la melodia facile. Una scelta sicuramente importante e che denota coraggio e integrità artistica, anche se arrivati alla nona traccia (The Swarm) si comincia a sentire un po’ di stanchezza nell’ascolto del disco. E la sua lunghezza non aiuta, considerando anche che nell’ultima parte dell’album si concentrano molti pezzi parecchio lenti, che fanno terminare l’ascolto con notevole fatica. Quello di Phomea è senza dubbio un progetto di qualità, ma una qualità che, come per tutte le cose più buone, forse andrebbe assunta a piccole dosi invece che in grandi abbuffate come quella di questo disco.


Cilio – 20/22

(self-released, 18 novembre 2022)

Compie il primo piccolo grande passo Cilio, che con 20/22 pubblica il proprio EP d’esordio: quattro brani che si muovono tra rap e funky e che sembrano piovuti direttamente dagli anni ’90, molto prima che il rap diventasse mainstream in Italia. L’artista sembra voler rifuggire da qualsiasi deriva questo genere abbia preso da Fabri Fibra in poi, e infarcisce i propri brani di chitarre funky, beat accennati e spesso più suonati che computerizzati, e un cantato semplice ed essenziale che a tratti ricorda quello del Jovanotti d’antan, specialmente in pezzi come la canzone d’amore Vieni con me (nulla a che vedere con il brano di Paps ‘N Skar ovviamente) o la ritmata e ballabile Accenti. Su Liberami dal male si sfiora quasi la disco, e a dir la verità se da una parte ci si chiede cosa ci faccia un artista come Cilio nel 2022, dall’altra si vorrebbe che questo EP durasse ancora un pochino perché i brani sono allegri e scorrono davvero piacevolmente. Il messaggio per Cilio è quindi che aspettiamo di ascoltare un suo album full length!


Mattia Faes – Cover, vol. 1

(self-released, 28 ottobre 2022)

Quello che stupisce nel nuovo EP, appunto di cover, del cantautore milanese Mattia Faes non è la scelta di mettere temporaneamente in pausa la pubblicazione dei suoi inediti per concentrarsi su canzoni di altri, quanto la scelta e l’esecuzione di queste. I cinque brani scelti sono ben definiti dall’autore come “classici atipici”, di grandi autori, italiani e internazionali diversissimi fra loro. Basterebbe il primo accostamento fra Ornella Vanoni e gli Arctic Monkeys per capire l’ampiezza dei mondi da cui si è andati a “pescare”. A livello stilistico la pasta è morbida e avvolgente e le varie canzoni vengono traghettate rispettosamente verso uno smooth jazz da camera che zigzaga tra l’acustico e l’elettroacustica su cui la voce di Mattia, ruvida ma gentile, rimane personale ed empatica. Ne esce un esperimento assolutamente piacevole, forse difficile da collocare e da proporre ma sicuramente sensato.


Potete leggere tutte le nostre recensioni a questa pagina.

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *