“Siamo come artigiani appassionati al prodotto” / Intervista ai The Sun

Foto di Silvia Dalle Carbonare
I The Sun sono una band composta da cristiani che da ventisei anni fanno rock, ma non ci stanno a farsi etichettare come “Christian rock band”. Si definiscono un gruppo controcorrente: lo hanno dimostrato anche di recente, pubblicando il loro ultimo album Qualcosa di vero su CD verso la fine del 2022 e solo il 10 marzo scorso sulle piattaforme di streaming. Con Francesco Lorenzi, cantante e frontman del gruppo, abbiamo parlato della loro evoluzione e di come vengono percepiti all’interno dell’attuale panorama musicale.
Da quando il vostro nome ha iniziato a circolare negli ambienti cristiani, giornali e riviste del settore musicale hanno smesso di seguirvi: avete avvertito anche voi questo progressivo disinteresse verso il lato strettamente artistico del vostro progetto?
Nel momento in cui siamo stati associati per forza di cose ad un ambiente legato alla spiritualità, per di più cristiana e cattolica, via via è come se l’aspetto musicale fosse stato messo in secondo piano negli ambiti della musica mainstream; nonostante il nostro sia un prodotto – senza finte modestie – di alta qualità anche musicale, compositiva, tecnica. Ma noi non abbiamo scelto di “fare Christian music”: abbiamo fatto un percorso, un certo tipo di evoluzione, e poi a un certo punto qualcuno ha cominciato a dire che era Christian music; ma noi non sapevamo neanche esistesse, perché era una cosa lontana dai nostri ascolti. Questo mettere un’etichetta, che è un’esigenza giornalistica per inquadrare velocemente ciò di cui si scrive, non fa un servizio vero a chi come noi fa musica di frontiera che vuole parlare a chiunque cerchi un significato più profondo in sé stesso, nella vita, nelle relazioni. Uno con “Christian music” pensa che cantiamo i salmi e questa cosa un po’ dispiace; prima bisognerebbe ascoltare e poi dire “Che cosa ti sembra questa musica? Di che cos’è che parla?”: parla di cose che hanno a che fare con l’anima, con la vita, con lo spirito, bene; ma non diresti che è Christian music.
Il rischio delle etichette è di semplificare superficialmente. Questa però mi sembra una tendenza del giornalismo musicale in generale, senza entrare nell’ambito strettamente religioso.
È proprio così. Ma la musica resta il motivo principale per cui noi siamo quello che siamo; nel senso che anche nell’ambito della Christian music, nella quale si conta e si annovera una serie di artisti che invece si dichiarano proprio “Christian artist”, noi restiamo comunque quelli più ascoltati, che suonano di più, più visti. Perché? Perché uno può fare mille discorsi, può esserci una storia per cui le persone si interessano, ma alla fine la musica è la cosa più importante.
Sulle testate religiose ho visto solo comunicati stampa copincollati e nulla di rielaborato. Sembra che interessi di più il fatto che sia uscito l’album di quello che c’è realmente dentro l’album; sembra che interessi di più l’evento in sé che il contenuto profondo.
È così, ma ho la sensazione che sia una tendenza generale: nel senso che l’interesse verso la musica come contenuto, come oggetto da proporre per una serie di caratteristiche intrinseche, viene proprio escluso. In giro non ci sono descrizioni o interpretazioni di quello che viene proposto, a meno che ci sia un testo che fa polemica. Il contenuto musicale mi pare che sia ormai riservato a una piccolissima nicchia di persone che ancora si interessano di musica in un certo modo; ma è una fetta assolutamente minoritaria di ascoltatori.
Penso anche alle domande banali che vengono fatte agli artisti in certi servizi dei telegiornali generalisti.
Certo. Ma perché le domande sono banali, perché si sprecano queste opportunità? È quello che la gente si è abituata a volere perché chi fa questo mestiere ha perso l’entusiasmo, la ricerca profonda; se una persona non si fa grandi domande sulla vita non arriverà da un artista a fare grandi domande. Noi proponiamo agli altri quello che possiamo capire di ciò che vediamo.
A gennaio 2022 hai fondato La Gloria, label esplicitamente incentrata sulla Christian music, e anche i The Sun ne sono entrati a far parte: questa operazione non va a fomentare l’etichetta di “Christian rock band” che volete rifiutare?
Sicuramente sì. Ma anche per fare da apripista ad altri era necessario che ne La Gloria ci fossero i The Sun, è stato naturale; perché senza di noi la possibilità che gli artisti dell’etichetta venissero percepiti anche da un mondo esterno in modo serio era praticamente zero. Anche se io non sono il portabandiera della Christian music – e chi ascolta le nostre canzoni questo lo capisce bene – ne capisco e ne sposo il valore. Ho conosciuto tanti artisti che hanno scelto di fare Christian music che fanno un vero servizio di bene: sono persone che hanno un particolare valore e che possono dare qualcosa a livello musicale; e però vengono, il più delle volte, accantonati dal mondo mainstream proprio per questa loro natura. È un problema italiano, stiamo parlando di un genere che culturalmente fuori dall’Italia vivono in un modo diverso: manca una corretta rappresentanza di questi artisti, dobbiamo fare un percorso per cui anche questo modo di intendere la musica, come in altri paesi, sia riconosciuto.
In un mondo dove domina l’algoritmo, come mai avete fatto questa scelta anticonformista di ritardare la pubblicazione in digitale di Qualcosa di vero?
Per noi il prodotto è importante, siamo come artigiani appassionati: finché è possibile dare dignità al prodotto musicale lo diamo. È indiscutibile che la musica – ora che è liquida, digitale – abbia perso di valore; non valore intrinseco, ma valore percepito da parte dell’ascoltatore: perché lo skip è diventato molto più veloce, molto più semplice, e quindi non ci si dà il tempo di capire che cosa si sta ascoltando. Il prodotto invece ha una custodia fisica e quindi chiede relazione, coinvolge più sensi; e quando siamo coinvolti con più sensi dobbiamo interpellarli diversamente. Se noi avessimo fatto uscire il CD insieme alla parte digitale, avremmo detto “Per noi è uguale”; ma in realtà non è uguale, per noi è più importante il prodotto. Ci siamo presi questa libertà anche perché non siamo gente da milioni di stream online, quindi ci permettiamo il gusto di decidere che cosa fare a seconda dei nostri valori .
È anche un modo per valorizzare l’album in quanto album e non come serie indiscriminata di canzoni.
Esattamente. Adesso le persone non fanno più questa roba ma per noi è un pezzo di vita. A me piange il cuore quando vedo le canzoni mischiate in playlist nelle stesse pagine degli artisti, perché in realtà quelle canzoni fanno parte di un album e rappresentano un motivo per cui sono dentro una scaletta: la musica è concepita in un tempo e in uno spazio per cui mischiarla con altra musica in modo casuale non le rende giustizia. Ma ormai questi sono ragionamenti “da vecchi”.
I The Sun sono in tour per presentare il nuovo disco Qualcosa di vero: per dettagli e informazioni sulle date potete consultare il loro sito web.