Gli album del mese: Boygenius, All Time Low, Fidlar & more

Boygenius The Record copertina

Boygenius – The Record

(Interscope Records, 31 marzo 2023)

Ho deciso che una recensione di questo disco non la volevo scrivere, tanto ci pensa già il disco in sé a definirsi e presentarsi senza alcun bisogno che arrivi io a dire cosa ne penso, e poi in ogni caso non sarei potuto essere oggettivo parlando dei nostri boys preferiti. In compenso, da buona persona ossessivo-compulsiva, ho calcolato una serie di dati quantitativi relativi all’album. Si tratta ad esempio di un disco dove le parti vocali (27:52 minuti) coprono circa il 66% della durata, con un restante 34% strumentale: poco?, tanto? Non lo sappiamo, ma anche dopo averlo già ascoltato allo sfinimento ci aspettavamo che le parti vocali coprissero una porzione più ampia a dire il vero. È confermata invece la sensazione che Julien abbia un po’ meno tempo a disposizione rispetto agli altri due boys: i momenti in cui lei canta la parte principale ammontano a 5:54 minuti, cioè circa il 21% del totale cantato sul disco. Per un confronto, Phoebe canta parti principali per 8:56 minuti (32%) e Lucy per 10:09 minuti (un solido 36,5%). I momenti in cui le armonie sono equamente divise sono pochini: appena 2:53 minuti (10,5%), principalmente dovuti all’intro a cappella Without You Without Them e all’outro di $20. Va detto che sull’EP del 2018 era Julien a recitare “la parte del leone”, con un brano cantato interamente da lei e varie parti sui restanti 5 pezzi, per cui se vogliamo con The Record si è andati a compensare. All’epoca era del resto lei la boygenius più famosa, mentre ora si sono decisamente invertite le parti, con Phoebe superstar e Lucy che gode di una fama consolidata nel panorama indie. Al di là di questi dati abbastanza inutili comunque, The Record è un disco stupendo: quando queste tre combinano cose insieme colpiscono inevitabilmente un punto particolarissimo del cuore che è poi difficile da far rimarginare. Sarà già il disco dell’anno? Ci sono ancora sette mesi e mezzo per batterlo, ma sarà durissimo farlo!


All Time Low – Tell Me I’m Alive

(Fueled by Ramen, 17 marzo 2023)

Gli All Time Low ci sono ricascati. Dopo un disco come Wake Up, Sunshine (2020) scritto sostanzialmente per chiedere scusa ai fan dopo il brutto esperimento pseudo-elettronico di Last Young Renegade (2017), la band riabbandona le sonorità pop punk che l’hanno portata al successo cercando di fare un disco più pop e mainstream. Che poi è la stessa cosa che avevano fatto anche nel 2011 con Dirty Work -esperimento fallito anche in quel caso. Insomma, i precedenti per intuire che l’operazione non promettesse molto di buono c’erano tutti, ma evidentemente gli All Time Low hanno ritenuto opportuno non ricalcare ulteriormente il percorso e le sonorità già esplorate con i dischi di maggior successo. Che in sé è anche una scelta comprensibile per non sembrare stantii; il problema è che finché restano nella propria comfort zone vicina al pop punk, gli All Time Low sanno sfornare degli ottimi dischi con la giusta energia; quando provano a mettersi in gioco facendo dischi più accessibili anche al grande pubblico fanno una gran fatica a reinventarsi. Con Future Hearts c’erano più o meno riusciti, ma quel disco è rimasto sostanzialmente un unicum, perché anche questo Tell Me I’m Alive alla fine è un disco pieno di canzonette innocue, vagamente accattivanti e ben prodotte ma per lo più prive di mordente, di vitalità e di qualsivoglia interesse. Qualcosa di buono c’è, come la bella title track dal sapore un po’ nostalgico e malinconico o il pop punk annacquato ma catchy di English Blood // American Heartache, ma due belle canzoni su tredici sono una percentuale veramente deprimente.


Fidlar – That’s Life

(self-released, 17 marzo 2023)

Da qualche tempo anche i Fidlar hanno scelto la strada del DIY, liberi da qualsiasi contratto con case discografiche e quindi anche liberi di fare un po’ quello che vogliono. Ad esempio pubblicare questo EP di sei brani, molto breve ma anche molto in stile Fidlar classici. Le canzoni stanno tutte su un sound punk rock con qualche influenza indie, ma meno che in passato: rispetto all’ultimo album Almost Free che aveva un sound decisamente soft e più sperimentale o ricercato, qui la band torna a proporre un punk scanzonato e divertente, e anche un po’ marcio, che segue magari la scia dei Pup ma prendendosi ancora meno sul serio. I testi parlano quasi tutti di sostanze psicotrope e strappano più di un sorriso. Questa versione dei Fidlar meno pretenziosa potrà magari piacere meno nelle redazioni dei magazine americani alla moda, ma arriva sicuramente più diretta e reale a chi ascolta.


Ailbhe Reddy – Endless Affair

(MNRK UK, 17 marzo 2023)

Dopo le Pillow Queens, ecco un’altra proposta indie rock al femminile dall’Irlanda, terra dalla quale riceviamo sempre delle gran belle notizie. Ailbhe Reddy (si dovrebbe pronunciare all’incirca “alva”) è al suo secondo album, un disco su cui alterna brani classicamente indie rock a ballad più lente e riflessive. Noi preferiamo di gran lunga i pezzi su cui aumentano le distorsioni, la velocità dei brani e anche le atmosfere positive, come la bellissima traccia d’apertura Shitshow, ma anche I’m Losing, You’re Winning o Shoulder Blades, però non disdegniamo affatto anche alcune canzoni più tranquille (vedi Last to Leave). Non sempre Ailbhe Reddy dimostra un’originalità notevole: nella prima metà del disco ci sono parecchi pezzi che giocano seguendo regole ampiamente accettate all’interno del genere; però la sua voce è piacevole da ascoltare, i testi un po’ ironici e sicuramente relatable con tutte le piccole situazioni di vita quotidiana che raccontano, e la musica tendenzialmente leggera e di facile ascolto. Un disco che magari non farà la rivoluzione, ma che ha le potenzialità per piacere a tutti i fan di queste sonorità.


The Bar Stool Preachers – Above the Static

(Pure Noise Records, 31 marzo 2023)

Terzo disco per i The Bar Stool Preachers, che hanno fatto il salto di qualità trovando una nuova casa in Pure Noise Records. Dal precedente disco (intitolato Grazie Governo, pensa un po’) sono passati addirittura cinque anni, ma noi apprezziamo molto il fatto che le band si prendano il proprio tempo per scrivere dischi invece che buttar fuori roba a nastro solo per sfamare l’algoritmo di Spotify. E infatti questo Above the Static è un gran bel disco punk rock. Il gruppo di Brighton non si inventa nulla: il suo modo di fare punk rock è politico, trascinante, veloce e molto melodico, tutte cose già sentite in varie forme e modalità, però lo fa davvero bene, e quindi cosa possiamo dire di male? Call Me on the Way Home è un singolone, un vero e proprio inno e senz’altro uno dei pezzi punk migliori dell’anno; qua e là si sentono echi frankturneriani (vedi Lighthouse Keeper), altrove rimandi agli Anti-Flag come in Never Gonna Happen o nel ritornello di Doorstep (altro pezzone), oppure degli Idles in Prince of Nothing e nelle strofe di Doorstep. L’accento inglese ci piace sempre molto, i testi riflettono sul mondo in cui viviamo ma cercano sempre di trovare quell’angolazione positiva o incoraggiante. I The Bar Stool Preachers hanno trovato il modo perfetto per fare punk rock nel segno della tradizione ma senza farlo suonare ripetitivo o scontato.


Protto – Primavera atomica

(Moovon Label, 31 marzo 2023)

Primavera atomica è l’EP con cui Protto dà una svolta scura e più drammaticamente autobiografica alla propria produzione. Molti se lo ricordano come quel pianista virtuoso mezzo giullare mezzo impiegato che aveva convinto per un paio di puntate Agnelli (in XFactor 2021) con i suoi giochi di parole. Dimenticatevelo. In questo brevissimo lavoro i testi sono comunque curati e riconoscibili ma i calembour sono volutamente freddi e tutto tranne che comici. La scaletta di questo lavoro atipico è guidata dalla dicotomia di Hiroshima e Nagasaki in cui le due città bombardate diventano la narrazione di una relazione e della sua deflagrazione mentre il primo brano Troppo a nord ci introduce al gelo fra i due partner. Abbandonati i guizzi jazz, il cantautorato piano-centrico di Protto qui si apre prima a un elettronica nordeuropea (quindi il ghiaccio di Troppo a Nord) per poi inspessirsi con il grunge di Hiroshima e infine abbandonarsi dolcemente alla ninnananna pop di Nagasaki. Un lavoro dal concept chiarissimo e dalle canzoni ben riuscite; a penalizzarlo la forma della pubblicazione forse non troppo funzionale e il genere dei brani un po’ fuori dal tempo (nel bene e nel male).


Funky Lemonade – Per ridere

(self-released, 31 marzo 2023)

A prima vista questo De Chirico digitale ci butta addosso molti elementi e lascia quasi perplessi; allo stesso modo bisogna capire come leggere tutte le provocazioni di una band che ha scelto di fare dei “meme” e della scanzonata presa bene il proprio manifesto (accostare i campionamenti di Barbero e di Fast & Furious già ci apre il ventaglio di reference della band). Quando entriamo poi nella musica ci rendiamo conto che in Italia sono pochissime le band che, ispirandosi a progetti esteri come Vulfpeck e Snarky Puppy, producono un jazz-funk virtuoso ma trascinante. I vari brani strumentali si susseguono risultando ben bilanciati nella differenziazione di suoni e ritmi ma comunque sempre coerenti in un viaggio che ha lo scopo di far ancheggiare il pubblico per una mezz’ora buona (obiettivo non facile ma direi riuscito). Eccezionalmente a impreziosire l’album troviamo una manciata di canzoni cantate che virano verso un indie-pop dall’ascolto più “universalmente facile” senza tradire la natura funk del progetto. L’ingresso nella band della voce, prima d’ora mai così calda e soul, del cantautore Spinozo punteggia il disco rendendo questo lavoro più bilanciato e fruibile. Probabilmente un disco che dà il proprio meglio nella forma live: se li incrociate in giro nel caso fateci sapere.


Emit – Vivo (deluxe)

(self-released, 24 marzo 2023)

La versione estesa di un album, il repack digitale, è un’operazione che recentemente siamo abituati a vedere nel pop più mainstream e in vista di casi particolari come la classica versione speciale post-Sanremo. Nell’ammettere che la natura dell’operazione risulta un po’ ambiziosa per un artista al suo primo lavoro, ci troviamo di fronte a una manciata piena (6 tracce e una demo) di nuove canzoni e gli diamo una possibilità. Il punto di partenza è ovviamente il disco Vivo, un disco cantautorale totalmente basato sul dialogo fra chitarre acustiche sognanti e dal “moderno arrangiamento folk”, un po’ alla Ben Howard, e una voce gentile e espressiva che si mette a nudo, sullo sfondo la comparsa di basi elettroniche lo fi dallo stampo “organico”. Le nuove aggiunte, canzoni in un qualche modo scartate dalla session di registrazione del disco e infine in questo modo riaccolte nella tracklist, gravitano attorno al resto dell’album con la giusta distanza. Il suono è ovviamente riconducibile al lavoro precedente ma si permette le giuste libertà, dall’unico brano cantato in un inglese credibile passiamo a una strumentale sognante (Que lindo) e a quattro nuove canzoni più o meno “convenzionali” per il punto di partenza più la demo spogliata di una canzone già presente (Mercatino). Insomma Vivo ci era piaciuto; non sentivamo la necessità di questa nuova versione, ma per chi si è appassionato al songwriting particolare di Emit. questa arricchisce i brani e mette un punto fermo sulle sue pubblicazioni per passare a breve a una nuova fase creativa.


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