Recensioni al buio: “Sensibile” by Mike Orange

Mike Orange Sensibile copertina

 

Su richiesta di nessuno, tornano le mitologiche “recensioni al buio”, questa volta su una casa nuova visto che la precedente (aim a trabolmeicher) è defunta nel 2019 in seguito al concerto degli Weezer. Se volete dare un’occhiata al paragrafo in cui pomposamente spiegavamo l’idea dietro alle recensioni al buio, potete farlo qui (non giudicateci per il linguaggio ironicamente ampolloso: eravamo giovani e stupidini).

Di Mike Orange, che ha un nome anglofono ma è chiaramente italianissimo della provincia di Milano, avevamo sentito parlare per la prima volta con il suo singolo chiamato letteralmente Piedi, proprio come le foto, o i video da OnlyFans. Piedi era il primo passo del suo primo disco, un album dal titolo Sensibile che ha in copertina un tenerissimo coniglietto che ci dicono essere chiamato Ugo.

Lui (intendiamo Mike, non il coniglio) dice che il disco l’ha scritto come una riflessione sull’essere uomo nel XXI secolo, e chissà se sarà un disco che parlerà della sensazione di straniamento dell’uomo immerso nei contesti cittadini post-moderni, o della dipendenza e dell’assuefazione ai social e alla tecnologia, oppure delle paure dell’uomo moderno tra collasso climatico e crisi economica perenne, o tutte queste cose insieme. O magari nessuna di queste. Lo scopriamo subito premendo play.

Il primo brano si chiama Rivolta, CR. Google ci assiste dicendoci che Rivolta d’Adda è un paesino in provincia di Cremona (CR), per cui il titolo ha un po’ quel sapore di quando gli americani dicono cose come Cleveland, OH, o Jacksonville, FL. La partenza è lenta, molto minimale con la voce e un clarinetto: quello di Mike Orange in Rivolta, CR è un pop-quasi-rock che a tratti ci fa pensare alle Vibrazioni (pensa te); i toni sono un po’ intimisti, anche se il testo è tutt’altro che implicito prendendosela con la “fottuta speranza”. Partenza un po’ circospetta ma comunque elegante.

Di Piedi avevamo già parlato in quest’articolo. È un brano fatto di tutt’altra pasta, che lascia orme più marcate grazie a chitarrine indie rock all’inglese e dei synth leggeri e graziosi; il tono della voce e il mood del brano sono sempre un po’ malinconici, perché Mike Orange a quanto pare ha la tendenza a prendersi un po’ male, come si può evincere anche dai testi: “volevo agitare il mondo intorno a me, mi sono trovato scombinato io”, con i piedi al posto della testa. Nessun riferimento alle feet pic per fortuna, in compenso c’è uno strumento strano chiamato diamonica che suona molto bene.

Nel terzo brano si va al Parco: al parco Mike Orange si porta la sua diamonica e suona quella invece di suonare la chitarra come i fricchettoni bolognesi. Le radici punk rock di Mike Orange vengono fuori quando l’artista parla dell’Edoné di Bergamo, il mitico locale tuttora centro della scena underground della città. Parco non è la classica canzone che suoneresti al parco, innanzitutto perché non è famosa e quindi non la canterebbe nessuno insieme a te, e poi perché è lentina e piuttosto riflessiva, non l’ideale per un evento conviviale. Il sound è maggiormente vicino all’indie pop suonato che in Italia al momento funziona, anche se non abbastanza upbeat da poter finire su un palco del Mi Ami.

Chitarra a parte, cosa ci si porta quando si va con gli amici al parco? No, non intendiamo le canne: parliamo dell’Alcol naturalmente. È questo il titolo della quarta traccia di Sensibile, un pezzo dal piglio decisamente più “punk”, con delle belle chitarre e un andamento deciso pur nella tendenza alla malinconia di Mike Orange, che immaginiamo a questo punto essere uno di quelli che hanno la sbronza triste, soprattutto adesso che non regge più l’alcol, come ci racconta nel testo. Per nostri gusti ovviamente si tratta del pezzo che preferiamo finora sul disco: un brano che si potrebbe benissimo suonare all’Edoné, magari al Punk Rock Raduno. Mica male quella nota acuta nel ritornello. Finalmente una botta di vita (cazzo)!

Promette bene il quinto pezzo, con il suo titolo che è Mostri. Veniamo però spiazzati dall’incipit al pianoforte. Del resto Mike avrà voluto smorzare i toni dopo la scarica di adrenalina di Alcol. I Mostri sono i piccoli problemi che possono diventare grandi se non affrontati. Il pezzo si mantiene su sonorità da ballad anche dopo l’intervento del resto della strumentazione, acquisendo però un tono piuttosto anthemico, quasi da brano da stadio. Pezzo personale che suona bene, anche se noi rivogliamo quelle chitarre veloci e scatenate del brano precedente.

Scotch parla di quell’oggetto che si usa per riattaccare insieme i pezzi (come quelli di un cuore infranto): delusione, perché speravamo parlasse dell’omonimo whisky; in compenso siamo veramente euforici per il fatto di ritrovare delle belle chitarre prese benino, al netto del testo preso malino ma ormai ci abbiamo fatto l’abitudine. Il sound di Scotch è pop rock / alternative rock, di quelli che potrebbero anche ambire alla playlist Rock Italia di Spotify dove le chitarre troppo distorte sono ancora malviste. Per noi si piazza sul secondo gradino del podio momentaneo dopo Alcol, anche grazie al ritornello abbastanza catchy.

Settima traccia che è anche la penultima del disco: il titolo è Escort Blu (menomale che viene specificato il colore, sennò si poteva pensare male), rappresentazione dell’indipendenza che si raggiunge quando si compiono 18 anni e si comincia a scorrazzare in giro, scarrozzare gli amici e ovviamente andare in camporella (“con la Escort, si sa, si fa dovunque”, che è il contrario di quello che spiegavano i Gem Boy a proposito della Panda). Dal sound poppettino e nostalgico non si direbbe, ma Escort Blu è il pezzo più felice del disco, e lo apprezziamo anche per questo.

Il disco si chiude con le Cose che volevo dirti. E cosa saranno mai queste cose? Da quello che sentiamo, sono un incoraggiamento a non arrendersi all’ansia e alla paura: Mike dice che con la paura bisogna parlarci, trattarla come un’amica e imparare a conoscerla; solo così potremo arrivare a conviverci in modo sano. Il pezzo è piuttosto uplifting, con un sound rock che prende svariate influenze tra alternative alla Muse, post-rock, British alla Biffy Clyro e Nothing but Thieves. È la traccia di chiusura perfetta, dall’incedere progressivo e dal sapore più “epico”, in cui Mike Orange si libera di quel carattere molto intimista che predominava nella maggior parte dei pezzi di Sensibile.

Mike ha fatto un disco che potremmo in parte definire trattenuto: molti dei brani sono leggeri, un po’ nostalgici, suonano bene e si ascoltano ancora meglio, ma si ha spesso la sensazione che l’artista non si lasci andare completamente come lascia capire di saper fare su pezzi come Alcol e Cose che volevo dirti, ma anche in Scotch. Parliamo ovviamente in parte anche sulla base di preferenze personali, ma su circa metà dell’album si vorrebbe che ci fosse più energia. Mike Orange ha l’estro, sa creare atmosfere intime e relatable, ci piacerebbe vederlo più “cattivo”. Resta comunque un disco che si può a ragion veduta definire Sensibile, da ascoltare nei momenti belli e in quelli un po’ meno belli di una relazione.

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