Gli album del mese: Beabadoobee, Momma, Viagra Boys & more

Beabadoobee – Beatopia
(Dirty Hit, 15 luglio 2022)
La sindrome di Phoebe Bridgers colpisce ancora. Dopo il successo ottenuto dalla cantautrice losangelina con il raccolto e quieto disco Punisher nel 2020, più di un’artista del panorama indie e del “mainstream alternativo” se n’è uscita negli ultimi due anni con dischi molto più tranquilli, intimi e infarciti di ballad rispetto ai dischi precedenti (per fare giusto un paio di nomi tra i più noti, possiamo dire Billie Eilish e Clairo). Ovviamente non sappiamo se ci sia un collegamento fra le due cose, e questa sindrome ce la siamo inventata noi, però ci sembra una tendenza degna di essere notata, e sicuramente si può dire che anche il nuovo album di Beabadoobee, fantasiosamente intitolato Beatopia, un po’ come il secondo di Phoebe Bridgers sia un disco molto più personale e raccolto del predecessore. Se Fake It Flowers era vivace e frizzantino, sull’indie rock brioso, Beatopia presenta uno sviluppo verso l’interno, con una netta prevalenza di canzoni lente anche se non necessariamente tristi; un lato di Beabadoobee che ancora non conoscevamo, ma che forse avremmo preferito vedere confinato a giusto una manciata di tracce dell’album, perché alla fine dei conti si tratta di un disco fin troppo compassato che non cambia quasi mai passo, e anche quando lo fa (vedi Talk o 10:36) non sembra avere la carica del lavoro precedente. Delle molte ballad, l’unica veramente apprezzabile è Lovesong, molto tenera ma anche immediata e ascoltabile, mentre vorremmo fare una menzione d’onore anche per Tinkerbell Is Overrated che è forse la canzone migliore della tracklist anche se un po’ troppo in stile The 1975. Per il resto, c’è ben poco che catturi davvero l’attenzione o rimanga impresso.
Momma – Household Name
(Lucky Number, 1 luglio 2022)
Se vi sta passando la sbornia Wet Leg, pronti a quella per le Momma? Il duo inglese ha preso d’assalto le classifiche domestiche con l’album di debutto omonimo; il duo americano invece con Household Name è già al terzo disco, ma solo ora sta cominciando a farsi davvero notare nella scena alternativa e indipendente. Rispetto alle scanzonate e sbarazzine Wet Leg, le Momma hanno un sound un pochino più “serio”, sicuramente influenzato anche dal post-grunge che fa spesso capolino qua e là nelle canzoni; l’album potrebbe anche definirsi più vario, sia in termini musicali che di temi trattati che di stili vocali, anche se fatichiamo a trovare in Household Name quell’immediata brillantezza che caratterizza Wet Leg (l’album) e che lo rende nel suo intero una “instant hit”. Ad ogni modo, di Household Name apprezziamo in particolare le bellissime chitarre che appaiono in singoli azzeccati come Speeding 72 o Lucky, i momenti più distorti del disco e la capacità delle Momma di scrivere un album variegato e che intrattiene. Forse c’è ancora da lavorare sulla capacità di scrivere consistentemente pezzi d’impatto.
Viagra Boys – Cave World
(Year0001, 8 luglio 2022)
Non so se dovrei vergognarmi per non aver mai ascoltato i Viagra Boys fino a questo momento, a dispetto di un feed sui social da un paio d’anni invaso da canzoni e riprese live di questa band; sta di fatto che Cave World rappresenta la mia introduzione alla band svedese, ed è sicuramente un’introduzione che lascia un po’ spiazzati. Cave World è una sorta di concept album che fa la cronistoria della nostra evoluzione da scimmie primitive a homo sapiens, per arrivare al mondo di oggi in cui la specie ha avuto una sorta di cortocircuito culturale e mentale dando origine a una miriade di complottismi vari -fra cui quelli sui vaccini, molto presenti nel corso delle canzoni del disco. Un tema un po’ strano se vogliamo, ma mai strano quanto la musica che i Viagra Boys ci propongono sull’album: una sorta di via di mezzo fra post-punk, avantgarde rock e il terribile rock ipermainstream alla The Black Keys (vedi Punk Rock Loser o The Cognitive Trade-Off Hypothesis). Canzoni che puoi allo stesso tempo osannare per la propria indole sperimentale e liquidare come pezzi rock da pubblicità di un’automobile. I Viagra Boys insomma camminano su un filo sottile fra genialità e banalità, ma le canzoni hanno un che di ipnotico e di primordiale che alla fine tiene con le orecchie incollate all’ascolto. Il dubbio è se sul medio-lungo periodo vorremo ancora ascoltare un disco i cui testi ruotano tutti attorno a un concept così specifico come quello cospirazionista scelto dalla band.
I Viagra Boys saranno in Italia il 24 agosto all’AMA Festival di Romano d’Ezzelino (VI) insieme a Nothing but Thieves, Palaye Royale e FASK, e poi il 15 dicembre al Fabrique di Milano come headliner.
Senses Fail – Hell Is in Your Head
(Pure Noise Records, 15 luglio 2022)
A quanti album sono arrivati i Senses Fail? Ormai crediamo di aver perso il conto, ma una rapida ricerca ci ricorda che la band di Buddy Nielsen non pubblicava un full length dall’ormai lontano 2018, quando era uscito quell’If There Is Light, It Will Find You che -a memoria- era stato accolto molto bene dalla critica grazie al suo sound throwback agli anni 2000. Con Hell Is in Your Head i Senses Fail ci riprovano, dando alle stampe un disco che è palesemente influenzato dall’emo e dal post-hardcore di una quindicina di anni fa. I ritmi sono veloci, le atmosfere piuttosto cupe, i testi a tratti iper sinceri e reali; funzionano alla grande i singoli come End of the World, Death by Water e I’m Sorry I’m Leaving, mentre a volte il disco gira un po’ faticosamente come sulla lunga closing track Grow Away from Me, ma in generale Buddy Nielsen conferma la propria abilità di escogitare melodie accattivanti e disporle su canzoni potenti ma orecchiabili.
Yours Truly – Is This What I Look Like?
(UNFD, 15 luglio 2022)
Prova davvero convincente quella degli Yours Truly sul loro nuovo EP Is This What I Look Like? La band australiana aveva pubblicato nel 2020 il proprio primo disco, Self Care, che era un buon album pop punk anche se mancava forse l’elemento catchy e memorabile in buona parte delle canzoni. Su questo EP invece Mikaila Delgado e compagni si allontanano leggermente dal pop punk puro in favore di un approccio maggiormente alternative rock, e la scelta sembra aver pagato, perché finalmente sentiamo ritornelli davvero accattivanti e che restano in testa, e una struttura delle canzoni più variegata e convincente. I riferimenti in termini di sound potrebbero essere band come i compatrioti Stand Atlantic, i We Are the In Crowd dell’ultimo disco o i Paramore di Brand New Eyes, tutti gruppi che avevano mescolato il pop punk degli inizi con un approccio più ragionato ma senza perdere un’oncia di energia. Anche il cantato di Mikaila sembra molto più consapevole di sé stesso e in fiducia, e questo fa tutta la differenza del mondo nell’interpretare le melodie. Forse abbiamo trovato davvero gli Yours Truly.
The Faim – Talk Talk
(BMG, 8 luglio 2022)
Un giorno dovremo decidere se i The 1975 hanno fatto più danni o più cose positive al mondo musicale anglosassone che gravita attorno al concetto di indie rock e indie pop. Loro, intendiamoci, hanno fatto per ora solo dei gran dischi; al contempo si sono trascinati dietro una quantità enorme di gruppi che hanno provato in modi più o meno vari -e per lo più non all’altezza dell’originale- a riproporre la medesima cosa. Ne sono un esempio gli australiani The Faim, band da sempre già piuttosto vicina a un pop rock di facile ascolto, melodico e con vaghe pretese da stadio -degli Imagine Dragons appena più suonati, diciamo. A dire il vero questa lunga introduzione potrebbe essere anche un po’ ingenerosa nei confronti del gruppo, dato che le canzoni-copia dei The 1975 non sono nemmeno la maggioranza sul nuovo album Talk Talk, e però è curioso come un gruppo partito da altri lidi sia approdato a questo stile di fare musica, evidentemente percepito come trendy nell’anno del Signore 2022. Dicevamo che non tutti i brani sono ispirati da Matty Healy e soci: Faith in Me sembra un pezzo dei Panic! At the Disco, altre hanno un approccio un pochino più pop punk (tra molte virgolette; diciamo pop punk quanto possono esserlo i 5 Seconds of Summer, cioè l’altro grande riferimento musicale di questo disco). Per il resto non succede granché di interessante su Talk Talk, né a livello di melodie né di strumentale, e possiamo tranquillamente bollare l’album come un tentativo di pop rock poco saporito e molto commerciale, che non ha proprio nulla da dire.
Antartica – Risposte sincere, domande sbagliate
(self-released, 13 luglio 2022)
Dopo tanti singoli dal 2019 a oggi, finalmente gli Antartica si decidono a compiere il grande passo e danno alle stampe (metaforiche ovviamente, visti i tempi di musica liquida) il loro primo EP, con un titolo bellissimo che è Risposte sincere, domande sbagliate. La band propone una sorta di ibrido fra l’indie pop tanto di moda in Italia negli ultimi anni e il pop punk a cavallo fra le recenti evoluzioni MGK-iane e quello più classico dei tempi d’oro ‘00s: basti ascoltare la traccia d’apertura Vento, che è in tutto e per tutto un brano pop punk, ma suonato come se fosse interpretato da un gruppo itpop. I Fall Out Boy rifatti da Gazzelle, o qualcosa del genere. Altrove si va a ripescare il filone “emo/pop punk” italiano che tanto aveva spopolato a fine anni 2000 con band come i Finley o i dARI: è il caso di Uh! -sarà anche quel ritornello molto liceale “vivo con una stronza / vivo con la mia testa” che ci riporta indietro di una quindicina d’anni. Se gli Antartica cantassero in inglese e fossero usciti una dozzina di anni fa sarebbero palesemente stati messi sotto contratto da Fueled by Ramen. Le sonorità ci piacciono parecchio, i vocals sono sbarazzini al punto giusto e la produzione è molto pulita come si addice a una canzone pop del 2022: per noi la band ha tutto per sfondare, e anzi ci auguriamo a che a sfondare sia un tipo di sound come il loro, che quantomeno le chitarre le usa e le usa bene.
Aliperti – Camera oscura
(Formica Dischi, 8 luglio 2022)
Disco d’esordio per il giovane cantautore lucchese Aliperti, con quel suo nome che sembra un po’ quello di un poeta tardo-rinascimentale, ma un sound che è decisamente moderno e attuale, specialmente nella patria dei Tommasi Paradisi e dei Calcutta: Camera oscura infatti, fuori per Formica Dischi, è un album che ci sentiamo sicuri di poter definire itpop; itpop non nella versione che va giù di synth e canzoni pseudodanzerecce, ma più in quella suonata e basata sulle chitarre ma che alla fin fine torna sempre a sentirsi a casa all’interno del genere. Caratteristica cardine dell’itpop è quella di avere testi un po’ presi male, meglio se cantati con fare un po’ dimesso e abbattuto, e in effetti qui Aliperti ci offre un campionario di tutte le sfaccettature in cui si può affrontare questo motivo: su Camera oscura, ci sono un gran numero di ballad e pezzi lenti in cui Aliperti si crogiola nella malinconia, a partire già dall’opening track Lampioni per chiudere simmetricamente con Elisa, passando per pezzi come Gonfiabile e Lavagna, ma anche Sonno che è uno dei brani più apprezzabili del disco con la sua struttura che va in crescendo sia per intensità che per strumentazione usata. D’altro canto -e grazie al cielo- l’artista non ha fatto un disco di soli pezzi da accendino al concerto: Camera oscura ci offre anche qualche momento semiballabile come in Vintage o Equilibrio, o pezzi in cui gli strumenti accendono un po’ il ritmo fino ad arrivare a un brano come Isola che è probabilmente la canzone più radiofonica del disco, con quel sound pop rock alla OneRepublic o Imagine Dragons ma cantato in depressione. L’itpop non ci fa strappare le vesti, come forse si è intuito leggendo queste righe, ma se è il tipo di sound che vi piace, Aliperti ha fatto l’album che vi piacerà di più quest’estate se darete un po’ meno retta alle radio e un po’ più agli artisti emergenti.
Eleviole? – Malinconie da manuale
(Level Up Dischi, 30 giugno 2022)
Eleviole? Cos’hanno le viole? Chi le minaccia? Chi pensa alle viole? Tanti gli interrogativi con cui ci avviciniamo all’ascolto di Malinconie da manuale (fuori per Level Up Dischi), il nuovo EP di Eleonora Tosca -in arte, appunto, Eleviole?- seguito del disco del 2019 Dove non si tocca. “Un piccolo viaggio attraverso la malinconia, una manciata di canzoni per raccontarci cose che avevamo dimenticato”, ci raccontano a proposito dell’EP, e in effetti l’atteggiamento dell’intero lavoro è uno di anelito per il passato, non per forza in quanto tempo mitizzato e felice, ma semplicemente nella sua dimensione di ricaduta sul presente e di struggimento che ben si sente nei quattro brani che formano la tracklist. Quello che però ci colpisce in particolare sono i vocals di Eleonora, che hanno un po’ della Carmen Consoli nel timbro e anche nell’incedere, e risultano assolutamente riconoscibili e particolari in un panorama come quello pop italiano dove le voci tendono ad assomigliarsi un pochino tutte quante. Musicalmente, invece, Malinconie da manuale è fondamentalmente un disco pop, anche se ci troviamo momenti più carichi e potenti (vedi Clark Kent, che comunque mantiene una propria dolcezza di fondo) e passaggi maggiormente delicati e in punta di piedi, come l’opener Macchine volanti o Brina, con Flixbus che è invece la traccia più ritmata e ballabile, quasi “da classifica” o da rotazione radiofonica. Malinconie da manuale è un EP molto breve, ma le quattro canzoni scorrono tutte molto piacevolmente e non ci saremmo affatto lamentati se Eleviole? Avesse aggiunto un paio di altre tracce.
Myle – Is Not Here
(Push.audio, 30 giugno 2022)
Myle è un artista di Parma, anche se -stando alla sua bio su Spotify- vive in Francia a Nizza. Nasce anagraficamente nel 1984, mentre artisticamente nel 2020, e ci propone ora il suo album d’esordio, un titano di 1 ora e 10 minuti di lunghezza per quattordici prolungate tracce. Le atmosfere sono prevalentemente quelle del folk/folk rock, contaminate con un po’ di rock alternativo e un largo uso di violini e armoniche che a tratti ricordano pezzi di Bob Dylan o Leonard Cohen (vedasi Home). Impreziosiscono l’album una serie di duetti con più voci femminili (da Erika Beretti come soprano ai cori di Livia Ferri, Armaud, Anastasia Brugnoli, Kitty Lorien, Elurophilia, Lorenza Veronica) presenti su quasi tutte le tracce del disco a controbilanciare la voce di Myle con leggiadria. La leggiadria di cui è al contrario sprovvisto il disco, che seppur costituito da buone canzoni, è veramente troppo lungo per poter essere apprezzato in alcun modo. Superata la soglia dei 40 minuti (cioè quando manca ancora mezz’ora di musica), l’ascolto di Is Not Here diventa veramente pesante, trascinandosi tra ballad al piano e pezzi più rock in una serpentina infinita di pezzi che finiscono per confondersi l’uno con l’altro. Un album lunghissimo non è necessariamente un album più bello o più artistico, e a volte la capacità di sintetizzare (e anche di operare tagli alle proprie scalette) è un’indubitabile virtù.
Potete leggere tutte le nostre recensioni a questa pagina.