Gli album del mese: Turnstile, Foxing, Chvrches & more / Settembre 2021

Turnstile – Glow On
(Roadrunner Records, 27 agosto 2021)
Anche se a qualcuno fa cagare (nel senso proprio letterale del termine), il nuovo disco dei Turnstile Glow On è indubbiamente una delle uscite più importanti -almeno a livello di hype- che la storia dell’hardcore ricordi. E le lodi sperticate di quasi tutti i media incensano la band che è riuscita a proporre e a portare al successo una versione mainstream di un genere decisamente poco mainstream. In effetti Glow On, terzo album in studio della band di Roadrunner Records e prodotto da un big come Mike Elizondo, è senz’altro “hardcore” come genere, ma è anche parecchio parecchio ascoltabile. Quasi una versione edulcorata dell’hardcore ma che mantiene comunque buona parte del sapore della ricetta originaria. Le cose su Glow On funzionano tutte molto bene; ci sono le parti dove batteria e chitarre pestano duro, ci sono pezzi quasi da singalong, ci sono stacchetti e inserimenti di strumenti o suoni stravaganti che aumentano la varietà… non ci si annoia, e si può comunque rivendicare la propria appartenenza al mondo hc pur condividendo l’ascolto con il pubblico del Coachella. Glow On ovviamente è un disco difficile da non apprezzare, anche se sappiamo di stare ascoltando un prodotto super patinato e confezionato ad hoc da una major in un genere che teoricamente è tutto l’opposto a livello di etica.
Foxing – Draw Down the Moon
(Grand Paradise/Hopeless, 6 agosto 2021)
Arrivati al quarto album, e reduci da apprezzamenti piuttosto universali per l’ultimo lavoro Nearer My God (2018), i Foxing hanno deciso di creare un’etichetta tutta loro, chiamata Grand Paradise come la prima canzone del disco sopraccitato, e usarla in partnership con Hopeless Records per pubblicare il loro nuovo album Draw Down the Moon (titolo derivato da un famoso saggio di Margot Adler sul paganesimo contemporaneo). Il trio del Missouri ha voluto fare le cose ancora più in grande che in passato, chiudendosi in studio con alcuni membri dei Manchester Orchestra e sfornando un lavoro ambizioso che suona volontariamente ricco, potente e baroccamente prodotto, pur conservando una sorta di approccio intimista al songwriting. È un disco perfetto se vi piace l’indie rock ma con un tocco di Brand New (ma proprio un tocco, eh, e nemmeno in tutte le canzoni; non aspettatevi di sentire Deja Entendu) e con un’attitudine a volte danzereccia, vedi Bialystok o If I Believed in Love. Evocativi sono anche i temi trattati nei testi: l’album affronta l’idea del proprio significato all’interno del grande schema cosmico.
Kississippi – Mood Ring
(Triple Crown Records, 6 agosto 2021)
Mood Ring è l’esordio di Kississippi, al secolo Zoe Reynolds, per la storica etichetta Triple Crown Records, dopo che il suo primo album Sunset Blush era uscito nel 2018 sulle boutique label Bug Crusher e Alcopop. Un disco quindi con cui l’artista di Philadelphia doveva dimostrare di poter stare “tra i grandi” e confermare tutte le cose buone che aveva lasciato intravvedere al debutto. Forte di alcune collaborazioni DOC come quelle con Marshall Vore (Phoebe Bridgers), Sarah Tudzin (Illuminati Hotties) e Conor Murphy (Foxing), oltre che del produttore Andy Park, possiamo pensare che Mood Ring abbia ampiamente superato la prova. Le sue dieci canzoni sono 32 minuti di perfetto indie pop / pop rock, molto ascoltabile e orecchiabile senza svendersi alla commercialità, e sostenuto, se non da un’ampia varietà sonora, dalla voce dolce e fresca di Zoe che ricorda un pochino l’uso vocale di Lauren Mayberry dei Chvrches, e dal ritmo quasi sempre upbeat delle canzoni che permette di restare costantemente entertained. Idealmente un disco vicino agli ultimi due lavori di Tegan and Sara con echi dei The 1975, ideale per le giornate di sole.
Trash Boat – Don’t You Feel Amazing?
(Hopeless Records, 13 agosto 2021)
I Trash Boat sono una band che non ha paura di cambiare anche piuttosto radicalmente il proprio sound da un album all’altro. Dalla varietà piuttosto scialba e incolore di pop punk proposta con l’esordio Nothing I Write You Can Change What You’ve Been Through (2016), il gruppo inglese era passato a un approccio decisamente più hardcore con il convincente follow-up Crown Shyness (2018). Ora, post-lockdown, ritroviamo la band con un disco che prende più di qualche ispirazione dal nu metal dei bei tempi e da band come i Deftones, e in cui del pop punk delle origini non ci sono più praticamente tracce. Don’t You Feel Amazing? è un disco che vuole suonare heavy e arrabbiato, in parte per esprimere la rabbia e la frustrazione del gruppo per gli atteggiamenti discriminatori ancora estesamente presenti nella nostra società verso le minoranze (in particolare quella LGBT+), e lo si era capito già dai singoli di lancio come Silence Is Golden e He’s So Good. Sfortunatamente, i singoli restano le uniche tracce degne di nota del disco, mentre il resto si perde in una heaviness fine a sé stessa o in canzoni assolutamente mediocri; la sensazione è che i Trash Boat abbiano composto anche nell’ottica di tentare di entrare in qualche circuito radiofonico alternativo (più facile con questo sound che facendo l’hardcore o il pop punk), ma nel processo si è persa di vista la bontà del songwriting e la capacità di scrivere musica memorabile.
Lil Lotus – Error Boy
(Epitaph Records, 20 agosto 2021)
Ormai qualsiasi rapper americano sia mai entrato in contatto con Travis Barker è obbligato per legge a fare musica pop punk, e allora ecco anche il buon Lil Lotus tirare fuori il suo disco con il nuovo sound del momento (e due ovvi featuring con il batterista dei Blink). Lil Lotus a dire il vero ha una certa credibilità in questa veste, visto il suo passato da batterista in alcune band locali metalcore nel Texas, e il suo side project If I Die First che sembra uscito da MySpace nel 2010 (da non perdere lo split EP uscito di recente con i SeeYouSpaceCowboy). E allora ecco che anche Error Boy, il suo nuovo album, suona molto gradevole, orecchiabile e accattivante, verosimilmente al passo con i tempi grazie alla sua miscela di chitarre pseudopunk e beat hip hop (con una prevalenza delle prime, per fortuna). Highlight del disco sicuramente il lead single Romantic Disaster in duetto con Chrissy Costanza degli Against the Current, la canzone più catchy e pop dell’album, mentre verso il finale qualche traccia si perde nell’insieme. Comunque un disco da tenere d’occhio per tutti quelli che amano il pop punk, e per quelli che si stanno avvicinando al genere grazie alle recenti uscite di Machine Gun Kelly e compagnia.
Chvrches – Screen Violence
(EMI/Glassnote, 27 agosto 2021)
Il trend di questo 2021 che vede l’uscita anche nel mainstream di dischi molto più raccolti e riflessivi (magari frutto di canzoni scritte durante i mesi di lockdown causati dalla pandemia?) investe anche i Chvrches, noti sin qua per il loro sbarluccicante synthpop e canzoni da presa bene -anche quando i testi erano non necessariamente felici. Arrivata al suo quarto album, la band scozzese smorza i toni e aumenta la durata dei brani, che suonano anche più atmosferici che mai. Sprazzi di vecchi Chvrches si sentono ancora in tracce come He Said She Said e Good Girls; molto più sorprendenti pezzi come How Not to Drown (con il feat. da urlo di Robert Smith, idolo di gioventù della band intera) che sembra effettivamente registrata sott’acqua, o California che vede la band alle prese con una traccia semi pop rock a dir la verità un po’ incolore. Le canzoni migliori si trovano nella seconda metà del disco, e sono quelle in cui la stupenda voce di Lauren viene lasciata più libera di spiccare il volo ed esaltare le proprie note argentine (es. il convincente ritornello di Nightmares); molte delle tracce hanno lunghezze rilevanti, ma viene da pensare che la maggior parte di loro beneficerebbe dal durare un minuto in meno. Screen Violence è un album scritto sicuramente con la volontà di avere un approccio più artistico e meno catchy o immediato; questo gli rende onore, anche se l’ascolto dell’intero disco alla lunga si fa un po’ pesante. Resta comunque un disco di buona qualità artistica con alcuni ottimi brani che tirano sù la valutazione finale.
With Confidence – With Confidence
(Hopeless Records, 27 agosto 2021)
Gli With Confidence sono una di quelle band che dall’epidemia di allegation per presunti abusi sessuali del 2017 non si sono più riprese. Il che è anche comprensibile: hanno perso il chitarrista, il cantante è stato accusato a sua volta, un po’ di gente ha deciso di smettere di seguirli e hanno dovuto preparare in fretta e furia un disco (Love and Loathing, 2018) che suonava in effetti abbastanza affrettato. Tre anni dopo li ritroviamo con questo disco self-titled, che già -ma questa è una teoria tutta mia- non fa ben sperare perché se a un disco non riesci nemmeno a trovare un titolo vuol dire che le idee in generale non abbondavano (eccezion fatta se si tratta del tuo disco d’esordio o del tuo final album). With Confidence comunque conferma il presentimento: al netto di qualche buona traccia come Anything o Big Cat Judgement Day che sarebbero potute comparire come traccia 6 del disco d’esordio Better Weather, la maggior parte delle canzoni sono ascoltabili ma nulla più, quasi musica da sottofondo. La sensazione è che la band stessa ci creda poco e abbia tirato fuori dieci canzoni giusto perché fare un disco con sette tracce pareva brutto dopo tre anni, ma tutti i brani danno l’idea di apatia, di un gruppo che fatica a trovare la scintilla che fa scrivere pezzi-bomba, più per strascichi psicologici che per propri limiti “artistici”. Ci si augura naturalmente di no, ma l’impressione è che ci si dimenticherà di quest’album ben presto.
Plug Out Head – Apocalyptic Dream
(self-released, 3 settembre 2021)
Reggini e attivi da un buon decennio, i Plug Out Head non pubblicavano però un lavoro in studio dal loro album Milkshake, uscito nel 2016. Apocalyptic Dream vede quindi il ritorno sulle scene del quartetto punk rock calabrese, con un EP di sei tracce, relativamente breve ma molto, molto tirato. La band in questo caso decide di non fossilizzarsi all’interno di un solo genere, bensì di esplorare alcuni sound diversi, e allora abbiamo pezzi che seguono la scia del punk rock californiano come Music to Me e Here in the South (in cui compare anche un bridge recitato in dialetto reggino), ma anche tracce più melodiche e alternative rock quali la title track o Addiction, fino ad arrivare a spingersi all’hardcore del brano di chiusura, Mad Wolf (durata del brano: 1 minuto e 27, come i veri pezzi accacì). Insomma, se anche il punk rock è per noi un genere d’importazione, negli ultimi trent’anni in Italia ce la siamo cavata benone, e i Plug Out Head meritano un ascolto perché per una ventina di minuti ci fanno illudere di trovarci da qualche parte vicino a San Diego e invece poi apriamo gli occhi e ci ricordiamo di essere nello Stivale.
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