DENTRO IL BOOKLET: My Chemical Romance – The Black Parade

Il predominio dello streaming ha un po’ rotto (anche) questa magia, ma un tempo uno dei tanti motivi che rendevano eccitante mettere le mani su una copia fisica di un album -specialmente nel caro vecchio formato CD- era quella di poter sfogliare ed esplorare il booklet, o libretto, ovvero quell’inserto costituito da un numero variabile di pagine che solitamente contiene la copertina del disco, i testi, qualche foto della band o immagini legate ai temi dell’album e i ringraziamenti e dediche della band.
Quando ancora non esistevano i social era anche uno dei principali metodi per scovare nuovi gruppi da ascoltare: molte band inserivano nei ringraziamenti i nomi di altri gruppi con cui avevano suonato, di cui erano amici o che li avevano ispirati, e tendenzialmente uno si fidava dei gusti della propria band preferita. Oggigiorno naturalmente basta un tweet di endorsement, ed è tutto molto più facile, ma anche un po’ meno magico.
Il booklet poteva essere piuttosto essenziale, con poche pagine contenenti principalmente i testi (ovviamente massima disapprovazione nei confronti delle band che nei booklet non includevano i testi, a meno che non si trattasse dei Brand New -loro erano giustificati), ma a volte diventare delle opere d’arte a sé stanti, oppure contenere riferimenti nascosti da decifrare per far emergere ulteriori significati o collegamenti all’interno dell’album.
Ci è sembrato piuttosto adeguato, per un sito che si chiama Booklet Magazine, andare a esplorare meglio il mondo dei booklet, partendo dai generi che ci piacciono di più ma senza metterci dei limiti veri e propri, in attesa di vedere dove ci porterà la rubrica -se ci porterà da qualche parte.
Il booklet da cui partiamo è quello di The Black Parade dei My Chemical Romance.
Pietra angolare dell’emo, considerato dai più la principale eredità del gruppo di Newark e forse anche il disco più famoso e celebrato e influente nel suo genere, The Black Parade ha proiettato i My Chemical Romance al successo nel mainstream. Un successo che dura ancora quindici anni dopo, e che ha saputo insinuarsi anche nelle generazioni più giovani che ai tempi della sua uscita stavano nascendo o gattonavano appena. E anche se all’epoca i puristi dell’emo lanciavano strali contro la band e i suoi fan, principalmente a causa delle frange e del look di Gerard e compagni, va da sé che si tratta di un successo strameritato, perché il disco è un capolavoro, oltre a contenere senz’altro un buon numero di momenti che si possono definire iconici, a partire dalla famosa G-note nella canzone che dà il titolo all’album.
Per una band teatrale e attenta all’immagine come i My Chemical Romance, il booklet di un disco così importante come The Black Parade non poteva che rispecchiare l’immaginario artistico e dark che permea buona parte dell’album. Il libretto non contiene pagine graffettate, ma aprendolo si rivela un poster orizzontale che è una sorta di presentazione della band e del disco in generale.
Sui toni di un color seppia prevalente, le tende di un sipario teatrale si aprono ai due lati, rivelando sullo sfondo le torri e le guglie di chiese e altri edifici religiosi, che assumono un’aria decisamente spettrale e inquietante, mentre il cielo è percorso da dirigibili, mongolfiere e aeroplani antichi e da guerra (su quello rossiccio più vicino alla scena si può leggere la scritta “the end”, che è anche la prima traccia dell’album). In primo piano invece compare la band, nei suoi iconici costumi da scheletro che sono diventati ormai il principale outfit associato ai My Chemical Romance, e una parata di personaggi, molti dei quali hanno direttamente a che fare con le canzoni del disco.
Notiamo subito sulla destra Il Paziente, ovvero il protagonista del concept del disco, seduto su una sedia a rotelle e attaccato a una flebo; il colore bianchissimo e gli occhi infossati ci fanno capire che, così come nell’album, il paziente è prossimo alla morte, se non già passato all’aldilà. Dietro a una grancassa con la scritta “The Black Parade” un lupo ulula in faccia a Ray Toro; riferimento a House of Wolves che nella nostra personalissima opinione è una delle tracce migliori del disco. Sempre in primo piano, la donna conosciuta come “Madre Guerra”, con la maschera antigas e la gonna a crinolina, che canta in Mama con la voce di Liza Minnelli. Un paio di personaggi, dall’aura spettrale, indossano elmetto e uniformi militari, come nell’ambientazione di Mama, mentre non è difficile scorgere nel resto dei personaggi alcuni dei protagonisti della “nera sfilata” del video di Welcome to the Black Parade. Le due ragazze agli estremi della scena dovrebbero essere i personaggi noti come Paura e Rimpianto. Lo stesso sfondo della scena è quello utilizzato nel video, il che dimostra ulteriormente la cura che è stata messa nell’immaginario visivo di quest’album.
Il lato “esterno” del booklet di The Black Parade è invece diviso in due sezioni. In una, oltre alla copertina piuttosto essenziale, troviamo un ulteriore artwork, raffigurante quella che è a tutti gli effetti una “black parade”. Anche qui i colori prevalenti sono il bianco e nero e il seppia; ritroviamo The Patient che sta venendo accompagnato dal “capobanda” della sfilata (uno scheletro di nome Pepe, che ci crediate o meno), un’immagine che indica come la morte sia venuta a prendere il protagonista del racconto. Attaccato al paziente c’è il filo di una flebo, che è bene o male l’unico oggetto colorato dell’intera scena, con il suo vivido color rosso sangue. Anche qui vediamo i lupi di House of Wolves così come figure di soldati, mentre degli avvoltoi chiudono la sfilata in attesa probabilmente di banchettare sulle prede. L’immaginario è ricchissimo di dettagli e sfumature, alcune delle quali probabilmente sfuggono anche alla nostra comprensione, e nasce da uno schizzo dello stesso Gerard Way, sviluppato poi dall’artista James Jean che ha curato l’aspetto grafico dell’intero disco.
Sull’altra sezione del “lato B” del booklet ci sono invece i sacrosanti testi di The Black Parade, scritti in un font piccolissimo e quasi illeggibile a meno di non avvicinare il libretto a pochi centimetri dagli occhi, ma con un’ottima precisione e aderenza ai reali testi del disco (il che non è ahinoi sempre scontato).
Da notare, nei ringraziamenti, quello come ingegnere acustico a Doug McKean, storico collaboratore della band e di Gerard Way, recentemente scomparso a soli 54 anni per un’emorragia cerebrale. La produzione è affidata al leggendario Rob Cavallo, noto tra gli altri per il suo lavoro pluridecennale con i Green Day; c’è il riconoscimento a Liza Minnelli per la sua celebre presenza in Mama nei panni di “Mother War”, e quello un po’ meno noto a Linda Iero, Donald James e Donna Lee Way come “additional vocals” sempre su Mama, nell’epico finale della canzone: si tratta, nell’ordine, della madre di Frank Iero e dei genitori di Gerard e Mikey Way.