Gli album del mese: Hot Mulligan, Dave Hause, The Amity Affliction & more

Hot Mulligan – Why Would I Watch
(Wax Bodega, 12 maggio 2023)
Dopo un disco come You’ll Be Fine, uscito nel 2020 in pieno lockdown mondiale ma ugualmente adorato dalla nicchia emo al punto da porli come capifila del movimento “fifth wave”, gli Hot Mulligan con il followup Why Would I Watch avevano un compito parecchio complicato come quello di non deludere le aspettative. Il disco non ci riesce del tutto, ma la band porta comunque in salvo la pelle. A livello di sound, gli Hot Mulligan mettono da parte quel tentativo di pop punk più pulito che era stato fatto nel 2021 con l’EP I Won’t Reach Out to You (quello che conteneva il pezzo Featuring Mark Hoppus dove non compariva davvero Mark Hoppus), per rituffarsi appieno nel sound emo dello scorso disco e nei vocals urlati/frignati di Tades Sanville, che poi era proprio quello che tutti avevamo adorato di You’ll Be Fine. I brani nel complesso sono belli, semplicemente sembrano un pochino meno accattivanti e d’impatto rispetto a quelli del primo album. Poi canzoni come Gans Media Retro Games o Shhh! Golf Is On sono assolutamente a quel livello, e c’è pure un brano (Betty) che abbiamo sempre skippato dopo la seconda volta che ascoltavamo il disco perché ci fa piangere troppo. Insomma, Why Would I Watch non va a segno nel modo in cui lo faceva You’ll Be Fine, però è un buon disco che non può assolutamente considerarsi un flop per la band americana.
Dave Hause – Drive It Like It’s Stolen
(Blood Harmony Records, 28 aprile 2023)
Secondo disco da full DIY per il Bruce Springsteen della scena punk rock, che anche per questo album intitolato Drive It Like It’s Stolen si appoggia all’etichetta da lui fondata, Blood Harmony Records (che poi prende il nome dal titolo dell’album precedente). L’artista di Philly apporta qualche piccola modifica al proprio sound per non risultare ripetitivo o stantio, e così abbiamo pezzi come Cheap Seats e Pedal Down in cui compaiono elementi elettronici, in quelle che potrebbero senz’altro definirsi delle ballad lente e dai toni vagamente dark. La vera forza di Dave sta però nei pezzi più punkeggianti, che naturalmente non si è dimenticato di includere nel disco: Damn Personal è un pezzone, sicuramente tra i migliori della sua intera discografia (anche per il tema che strappa più di una lacrima, ovvero la perdita prematura di un amico), ma anche brani come Low e Hazard Lights piacciono parecchio, soprattutto dopo qualche ascolto. Magari non sarà il disco più bello di Dave Hause o quello che resterà nella storia, ma di certo per i fan dell’artista è un ascolto che regala soddisfazioni e anche emozioni.
The Amity Affliction – Not Without My Ghosts
(Pure Noise Records, 12 maggio 2023)
Ci avevano provato a cambiare un pochino il proprio sound i The Amity Affliction, specialmente sul disco del 2018 Misery, ma non era andata troppo bene a livello di giudizi critici e dei fan (anche se poi quel disco contiene dei pezzi ancor oggi adorati come Drag the Lake e Ivy). E così già dal disco successivo Everyone Loves You… Once You Leave Them (2020) la band si era riportata sulla sua formula storica sempre uguale: strofe urlate e aggressive, ritornelli ipermelodici e aperti, breakdown. La stessa identica formula che ritroviamo sul nuovo disco Not Without My Ghosts, secondo per Pure Noise Records. Certo, c’è la traccia di chiusura semiacustica featuring Phem che ricorda un po’ The End dei Silverstein con Lights, c’è I See Dead People che vede l’interpolazione di un brano del rapper Louie Knuxx morto nel 2021… ma al di là di questi interventi estemporanei, il disco vede sempre i soliti The Amity Affliction che conosciamo da più di un decennio, non cambiati di una virgola (nemmeno nei testi che parlano sempre di morte e solitudine). E la realtà è che va bene così: anche Not Without My Ghosts è un disco con parecchi alti (si vedano brani come I See Dead People, God Voice, o Show Me Your God), e se la band ha trovato la propria comfort zone in cui riesce a esprimersi al meglio, non c’è ragione di stravolgere il proprio sound a questo punto della carriera.
The Used – Toxic Positivity
(19 maggio 2023, Hassle Records)
L’unico disco interessante dei The Used negli ultimi dieci anni è quell’esperimento strano e ambizioso che era The Canyon (2017), un album di diciassette tracce per un’ora e venti di musica, registrata in modo grezzo e sporco, per cogliere l’immediatezza dei brani come se fossero ascoltati in presa diretta. Non tutte le canzoni erano di ottima qualità, ma il coraggio di creare un disco del genere compensava i difetti che parte della tracklist poteva avere. Il successivo Heartwork era un pastrocchio di sonorità che cercavano da una parte di rinverdire per l’ennesima volta i fasti dei The Used dei primi anni 2000 e dall’altra parte di fare una specie di rock mainstream malamente ibridato con il pop. Ma il nuovo disco Toxic Positivity è senza dubbio il peggior lavoro dell’intera discografia della band: non si percepisce una direzione, i brani scorrono su un alternative rock ogni tanto sporcato da qualche urletto, con ritornelli vagamente accattivanti ma che non riescono a restare impressi nella mente, testi che ormai sembrano già ampiamente sentiti negli ultimi vent’anni della band, e l’impressione generale che manchi completamente l’energia, la scintilla che dovrebbe essere dietro alla musica fatta per necessità artistica e non solo per obbligo di contratto o per buttar fuori qualcosa di nuovo. Un disco che scivola via senza farsi notare e senza lasciare alcunché anche dopo ripetuti ascolti.
The Rocket Summer – Shadowkasters
(Aviate Records, 12 maggio 2023)
Dopo quel gran disco che era Zoetic (2016), The Rocket Summer ci aveva già dato una piccola delusione con il follow-up Sweet Shivers (2019), un album più pop che non aveva minimamente il brio e la vitalità del disco che l’aveva preceduto. Nulla però lasciava presagire un tracollo come quello che Bryce Avary ha avuto con il suo nuovo lavoro Shadowkasters. O meglio, i singoli che avevano lanciato l’album (da M4U a Sing at the Top) ci avevano preparati al peggio, ma speravamo che fossero magari i brani più pop e ammiccanti alla radio, e che poi nel resto della tracklist potessimo trovare anche qualche bel pezzo pop rock come The Rocket Summer sa(peva?) fare. Nient’affatto. Su Shadowkasters, Bryce Avary cade in quella odiosa e terribile trappola di fare la più becera e futile musica pop in cui già sono cadute dozzine di band del mondo alternativo specialmente dalla fine degli anni 2000 alla metà dei 2010. Tutto in questo disco è finto, scritto senza cuore e anima soltanto per provare a risultare catchy e mainstream, col problema che chi è davvero mainstream fa tutto questo parecchie volte meglio e pure con più credibilità di lui. Non c’è proprio nulla da salvare in questo disco, un capitolo devastante della discografia di The Rocket Summer da dimenticare il prima possibile, anche se la macchia resterà indelebile nella sua carriera.
Alemoa – Fammi male
(B2S Music, 19 maggio 2023)
Se si analizza la storia recente del “pop rock” italiano è interessante vedere come abbia da sempre seguito una sua strada prettamente nostrana che non ha mai davvero dialogato con l’estero. Dai primi Ministri passando per la parabola pop dei Fast Animals and Slow Kids, la scelta è stata sempre abbastanza divisiva: o fai qualcosa che si ispira a suoni e stili esteri o ricerchi uno stile alla Rock Italia (citando la playlist Spotify di riferimento), qualcosa quindi di più “confortevole” e comprensibile per un pubblico italiano che può così diventare anche mediamente ampio. L’assurdità sta nel fatto che dall’estero potrebbero esserci innumerevoli influenze che “digerite” nel modo corretto potrebbero funzionare molto bene in Italia. Già soltanto tutto il giro anglo-americano di Big Scary Monsters (Tiny Moving Parts, Martha, Into It. Over It.), fra emo-pop e rock melodico, avrebbe tutte le caratteristiche di base per poter, tradotto correttamente nella lingua di Dante, trovare un ottima risposta. Arriviamo quindi a Fammi male, un disco che si pone esattamente in mezzo a questo discorso e che dimostra quanto questo collegamento sia funzionale. Un disco che nella sua forte coerenza risulta comunque vario inserendo tutte le tipologie di brani giusti al momento giusto. La semplicità melodica guidata dalla voce mantiene alta una certa epicità che ti tira dentro ai brani in modo appiccicoso ma non nasconde mai la strumentale che rimane sempre stimolante senza sfociare nella complessità fine a sé stessa. Gli Alemoa sanno emozionare e fare allo stesso tempo musica di alto livello: la loro formula potrebbe essere quella perfetta per piacere alla massa italiana e allo stesso tempo onorare i modelli d’Oltreoceano e Oltremanica.
Mathela – In apparenza
(self-released, 20 aprile 2023)
Dopo i primi due singoli del 2022 e un cambio di cantante, i Mathela arrivano al passo d’esordio con questo primo EP intitolato In apparenza. Cinque brani di cui tre in italiano e due inglese, con una scelta multilinguistica forse non troppo comune in generale, ma che ci porta inevitabilmente verso un confronto che aleggia nel nostro cervello durante l’intero ascolto dell’EP: non vogliamo finire in quella trappola che tutte le band italiane che fanno rock un po’ mainstream debbano venire per forza paragonate ai Maneskin -un po’ come la cosa che tutte le band pop punk con voce femminile assomigliano ai Paramore- però non riusciamo davvero a toglierci dalla testa questo paragone nel caso dei Mathela. La voce di Emil ricorda davvero quella del buon Damiano (in occasione del singolo How to Go Insane avevamo anche azzardato un paragone con Remington Leith dei Palaye Royale, giusto per giustificarci e uscire dal confronto scontato), e anche il sound dei pezzi non ricade certo in un regno estremamente distante da quello del più noto gruppo. Ma questo non è affatto un modo per criticare i Mathela: i cinque brani suonano davvero bene, hanno sonorità rock ma anche molto immediate e ascoltabili, in pratica sono dei pezzi con la sensibilità e il potenziale pop ma “sporcati” dal tono più graffiato e quindi attraente del rock, che in teoria è la combinazione perfetta per piacere a tutti (o quantomeno a molti) e darsi comunque arie da rocker invece che da popstar. La produzione è pulita come si deve a un pezzo rock moderno, il cantato impeccabile, e c’è pure una discreta varietà stilistica fra le varie tracce, arrivando anche a tocchi di blues nella ritmata ballata James, o al rock fatto con le trombe di Noia mai. Per noi i Mathela sono una band dall’alto potenziale, specialmente adesso che anche il mercato discografico non guarda più alle chitarre come a degli strumenti alieni che suscitano riprovazione e spavento nelle folle.
Comrad – Placenta
(Kallax Records, 12 maggio 2023)
Secondo EP per i Comrad da Bari, dopo il solido esordio Restiamo vicini del 2021. Lo stile della band resiste a incasellamenti netti, ma può essere collocato tra punk e alternative rock con una componente emocore non indifferente; per intenderci, un sound che va dalle parti di Cara Calma ed Elephant Brain, ma corretti dai Gazebo Penguins: diretto e penetrante, più pestato e meno pulito. Placenta è un disco breve, dei cinque brani il più lungo supera a malapena i due minuti e mezzo: sono canzoni veloci e tirate, non per esigenze algoritmiche ma per una vocazione all’essenzialità, coronate da una voce energica che urla questa urgenza di – parafrasando Camaleonte – affrontare il mondo che calpestano. In meno di un quarto d’ora i Comrad mettono in scena un’epica tanto modesta nei contenuti quanto intensa nell’ispirazione, esorcizzando la vita attraverso il gesto semplice ma catartico dello sfogo. [Simone De Lorenzi]
Cable21 – Simbolatria
(self-released, 22 marzo 2023)
Sono al primo album ufficiale i Cable21, anche se la band dice di avere una storia che va indietro di parecchi anni e della quale purtroppo non abbiamo traccia. Il gruppo si è riformato nel 2021 (da cui il numero nel nome?) e ora esce con questo disco intitolato Simbolatria, undici canzoni con titoli parecchio curiosi (Università del disastro, Codici e farmaci, o Zobeide per dirne alcuni) e un’atmosfera generale che guarda oltremanica. Simbolatria infatti è un disco in cui la band mette in mostra influenze derivate principalmente dal post-punk, declinato nella sua accezione più raffinata e contaminata dall’alternative rock, un po’ come fanno i Dry Cleaning ma ovviamente con il cantato in italiano invece del parlato in inglese di Florence Shaw. Fanno eccezione brani come Zobeide, che è più una rock ballad con il pianoforte, la closing track Arrivi con il suo incedere maggiormente compassato e maestoso, e poi i brani Separati con le sue sonorità elettroniche e Codici e farmaci che adotta sonorità funky. Simbolatria è un disco che musicalmente potrebbe essere nato in qualche studio londinese, ma a livello di cantato è decisamente italiano (e non solo per la lingua); una sintesi curiosa e forse poco battuta finora nel nostro territorio, che siamo contenti i Cable21 abbiano operato.
Anton Sconosciuto – To Make Room
(Coypu/Pluma, 4 maggio 2023)
Un cantato quasi sottovoce, timido ma deciso, guida dei brani dalla direzione non chiara, che tentennano, si perdono e girano su loro stessi senza mai perdere il controllo. Si può abbandonare il pop anche senza strafare, senza esagerare ma mantenendo un certo aplomb composto? Anton Sconosciuto, probabilmente il musicista italiano con il cognome più iconico sulla carta d’identità, pare esserne la prova. Anton confeziona un disco completo e maturo per essere la sua prima prova come autore unico, un disco che non sembra scritto da un batterista e che si fa carico di tutto il rigore di otto brani indie rock (nella sua accezione più estera) pensati per essere suonati da cinque giovani jazzisti. Si passa da ballate struggenti (Coat) a brani più destrutturati (Can’t Seem to Belong e Tides) in cui si sfiora un nervo psichedelico senza mai abbracciarlo davvero, un’originalità disciplinata che lascia trasparire molte emozioni da un rigore troppo profondamente umano. Si chiude con la coralità folk di Keep Me in Your Brain che in questo idillio alla Simon & Garfunkel scopre le carte di tutte le sue influenze più classiche.
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