Gli album del mese: Fiddlehead, Movements, Atreyu & more

Fiddlehead – Death Is Nothing to Us
(Run for Cover Records, 18 agosto 2023)
Poche altre band nel mondo dell’hardcore recente hanno goduto dell’esaltazione del pubblico e della critica quanto i Fiddlehead; più di loro vengono in mente solo i Turnstile, che però giocano un campionato a parte anche in termini di successo. Il gruppo di Run for Cover arriva al suo terzo disco nel momento apicale della propria carriera (almeno sin qua), ma la sensazione è che Death Is Nothing to Us non sarà l’album che farà fare il definitivo salto di popolarità alla band. Musicalmente, si tratta senz’altro di un lavoro compatto ed energico, fedele al sound che ha reso finora apprezzati i Fiddlehead, ovvero una commistione fra gli spigoli dell’hardcore e le dolcezze un po’ malinconiche dell’emo. Il problema è più che altro proprio nel fatto che questo disco unisce le buone cose dell’emo (melodie aperte, chitarre un po’ catchy e nostalgiche, sound un filo alleggerito rispetto all’hardcore duro e puro) con quelle cattive dell’hardcore, cioè che tutte le canzoni sembrano uguali. Poi certamente l’interpretazione appassionata di Pat Flynn fa sì che Death Is Nothing to Us sia un album intenso ed emotivo, ma la difficoltà nel separare un brano dall’altro (e a volte anche solo a ricordarsi le melodie di un brano) non sembrano giocare a favore dei Fiddlehead, specialmente nell’ottica di conquistare nuovo pubblico.
Movements – Ruckus!
(Fearless Records, 18 agosto 2023)
I Movements hanno sin qui sempre pubblicato un album ogni tre anni: il capolavoro Feel Something nel 2017, l’ottimo No Good Left to Give nel 2020, e ora questo Ruckus! che ha una copertina veramente brutta, fortunatamente non indicativa di quanto si trova all’interno del disco. La band californiana ha deciso di imprimere un’evoluzione più matura al proprio sound, un cambio non certo radicale ma comunque piuttosto marcato rispetto alle due uscite precedenti. Bando agli scream e ai suoni più vicini al post-hardcore, e dentro contaminazioni più rock che potremmo spingerci a definire “mainstream” o quantomeno da radio. Alcune canzoni infatti -vedi Tightrope o A.M.P.- arrivano a un rock alternativo talmente leggerino da sembrare quasi uscite da qualche band radiofonica alla Nothing but Thieves, anche se il pathos nei vocals di Patrick Miranda ci ricorda da che ambito provengono i Movements e come mai non li sentiamo alla radio.
Altrove Ruckus! si avvicina a un sound alla Citizen, come su I Hope You Choke! (quanti punti esclamativi!) o Dance with Death. Ci sembra un’evoluzione coerente e anzi ben fatta da parte della band, che al terzo disco non poteva probabilmente fossilizzarsi sul sound fin lì esplorato con profitto. L’album del resto non perde l’intensità, principalmente grazie al lavoro di Pat alla voce (anche se i suoi scream ci mancano un po’, dato che qui compaiono solo nel bridge di Fail You), ma forse continuiamo a preferire i primi Movements, quelli più istintivi e passionali. Quello che possiamo augurare alla band è di riuscire con questo disco un po’ più abbordabile ad ampliare la propria platea di ascoltatori, fin qui confinata alla nicchia che apprezza le sonorità maggiormente heavy dell’emo e del post-hardcore.
Atreyu – The Moment You Find Your Flame
(Spinefarm Records, 18 agosto 2023)
Due anni dopo il mediocre disco Baptize, gli Atreyu tornano con questo lavoro di otto tracce, diviso per qualche insondabile ragione in un “lato A” e in un “lato B” anche sulle piattaforme di streaming. Un mini-album o maxi-EP che in realtà è semplicemente la raccolta di svariati singoli pubblicati negli scorsi mesi, più un paio di inediti, secondo la brutta tendenza recente di dare la priorità ai singoli per sfamare l’algoritmo delle piattaforme di streaming e poi impacchettarli con un’altra copertina spacciandolo per un “nuovo disco”. Quella che propongono gli Atreyu -privi, ricordiamo, già dallo scorso album del cantante Alex Varkatzas, sostituito in tutto per tutto da Brandon Saller che ha detto addio alla batteria per fare il frontman- su The Moment You Find Your Flame è musica heavy ma da radio mainstream (non le radio mainstream che trasmettono rock in Italia ovviamente, perché questo sound è fin troppo pesante per la Virgin Radio o la Radiofreccia di turno, ma in America stazioni che passano musica così ce ne sono) con qualche accenno di metalcore, un po’ di elettronica infilata nei punti giusti, e pure qualche assolo di chitarra in stile Avenged Sevenfold (vedi Gone o la poco originale ballata I Don’t Wanna Die). Roba sentita e risentita da decenni, senza alcuno spunto innovativo ma fatta apposta per rincorrere il successo istantaneo -chissà poi con quale esito. Un paio di brani sono gradevoli, ma scivolano anch’essi via senza lasciare troppe tracce di sé nella memoria, in quello che sembra un album scritto con il pilota automatico invece che un’opera frutto dell’arte e della tecnica di una band. Sarà anche per questa svolta poco illuminata magari che Alex Varkatzas ha deciso di andarsene per conto proprio.
The Band Camino – The Dark
(Elektra Records, 11 agosto 2023)
Fare pop rock dalle sonorità mainstream presentandosi con un’immagine da band indipendente ma avendo un contratto con la major Elektra. Questo in pochissime parole il biglietto da visita dei The Band Camino, trio fondato a Memphis nel 2015 ma di base a Nashville, che è un po’ la terza capitale americana della musica (o forse addirittura la seconda, dopo l’inarrivabile LA). Il gruppo è al proprio secondo disco, dopo aver pubblicato un album self-titled nel 2021, ma la formula non cambia granché: quelle che propongono i The Band Camino su The Dark sono canzoncine pop (rock) innocue, accattivanti, prodotte in modo liscio e cristallino -forse un filo troppo elettronico anche- che si ascoltano con estrema facilità, che ci immaginiamo senza problemi trasmesse dagli altoparlanti di qualche supermercato o radio commerciale, che puoi ricordare e canticchiare, ma che non fanno molto per lasciare davvero il segno. Non basta avere sonorità accessibili e ritornelli catchy per alterare il corso della storia o fare davvero breccia nei cuori del pubblico, e questo i The Band Camino non sappiamo se l’hanno ancora compreso fino in fondo, perché il loro pop è sì mainstream ma anche abbastanza insignificante.
Magnolia Park – MoonEater + SoulEater
(Epitaph Records, 18 agosto 2023)
Per qualche motivo, il nuovo album dei Magnolia Park non è presentato come un album, ma come un doppio EP, MoonEater e SoulEater (che sembrano i nomi di una nuova generazione di Pokémon), ognuno composto da cinque brani. Beh, in realtà il motivo diventa comprensibile ascoltando questi due EP, perché ognuno di loro si focalizza su un genere differente: MoonEater presenta cinque pezzi vicini al post-hardcore, mentre su SoulEater le sonorità sono decisamente più vicine al pop punk. Operazione curiosa, che spiazza un pochino l’ascoltatore, e forse rischia anche di non far trasparire una vera e propria identità dei Magnolia Park, ma non è detto che il pubblico a cui la band si rivolge la cerchi davvero. Le canzoni sono piene di featuring e collaborazioni, come vogliono le regole attuali delle piattaforme di streaming, e probabilmente non possiamo fargliene una colpa ai Magnolia Park, tanto più che bene o male gli ospiti si inseriscono in maniera liscia nei brani. La parte “post-hardcore” vede un’interpretazione del genere molto mischiata all’EDM, con synth importanti che intervengono a più riprese; quella “pop punk” invece sta a cavallo fra i Blink (“na na na” inclusi) e Machine Gun Kelly ed è -anche per caratteristiche intrinseche del genere- quella un po’ più catchy e immediata, anche se dopo qualche ascolto noi ci ritroviamo a preferire l’intensità di MoonEater alle sonorità un po’ derivative di SoulEater.
The Xcerts – Learning How to Live and Let Go
(UNFD, 18 agosto 2023)
Dopo più di cinque anni dall’uscita dell’ultimo disco, tornano i The Xcerts con il quinto album della propria carriera ormai ventennale (anche se il primo disco è del 2009). La band ora è sotto contratto con UNFD, e su Learning How to Live and Let Go propone un disco un po’ più pop che in passato: le ballad malinconiche d’amore si alternano a pezzi più scatenati e a chitarre leggerine ma frizzanti, per un totale di dodici brani tutti piuttosto corti -il disco dura appena 31 minuti. Il modo di fare pop rock dei The Xcerts ci sembra molto più fresco e d’impatto, meno riciclato e incolore rispetto ai The Band Camino di cui abbiamo parlato poco sopra. È più suonato, più “aggressivo” e più rock? Sì, ma arriva anche molto più diretto. Per contro, ci sembra che addirittura sei brani lenti su dodici siano un filo troppo, specialmente quando sono posizionati consecutivamente come Drag Me Out ed Everything I Cannot Live Without o le due tracce conclusive, rischiando di uccidere un po’ l’impeto del disco. Se l’ultimo disco era stato accostato al sound dei Jimmy Eat World, qui i riferimenti ci sembrano più vicini a band come The 1975 e The Maine, o anche Boygenius nelle ballad. Un buon disco così com’è, forse un ottimo disco con un paio di lenti in meno.
Hurry – Don’t Look Back
(Lame-O Records, 11 agosto 2023)
Don’t Look Back (senza anger) è già il quinto album degli Hurry, band che potremmo definire “di culto” all’interno di una piccola nicchia, pur senza mai trovare il vero successo di pubblico. Il sound di questo disco è particolare perché si sintonizza prevalentemente su un rock leggero, con ampi tratti indie ma anche molte vibe anni ‘60/’70, un po’ come se Simon and Garfunkel fossero nati ai tempi nostri. Ci sono anche delle chitarre un pochino più affini all’emo in ogni caso (si veda, su tutte, l’esempio del bel brano No Patience). A noi, per restare in casa Lame-O Records, viene però in particolar modo alla mente il sound di Slaughter Beach, Dog, a cui questo Don’t Look Back assomiglia parecchio, con un tocco appena più rock. A volte il ritmo arriva forse a essere perfino un po’ troppo compassato e si desidererebbe qualche scarica di adrenalina in più, però gli Hurry hanno messo insieme un buon disco, coerente e compatto a livello sonoro quanto godibile senza annoiare.
Bearings – The Best Part About Being Human
(Pure Noise Records, 18 agosto 2023)
È ormai diventato curioso ascoltare un disco dal sound decisamente “pop punk 2010s” (quello di Neck Deep, State Champs e affini, per intenderci) nell’anno di grazia 2023. Sono cambiati un po’ i gusti e inevitabilmente anche le mode, anche se il genere in sé è tornato in auge grazie alle evoluzioni recenti che l’hanno contaminato con la trap. I Bearings però, nati in pieno nello scorso decennio, rimangono fedeli al sound della precedente ondata, come conferma il loro terzo disco The Best Part About Being Human (la quale miglior parte, se ve lo steste chiedendo, “is being alive”). Il sound è divertente e leggero, perfetto da ascoltare in spiaggia se non ti piace il reggaeton, o per fare un bel po’ di crowdsurfing e fingerpointing a un concerto della band. Certo, è un disco che arriva ampiamente fuori tempo massimo, e come tale potrà trovare riscontri solo all’interno della nicchia rimasta appassionata a queste sonorità, ma in quanto album pop punk 2010s, ci sembra un disco fatto bene e che raggiunge pienamente il proprio scopo di divertire e trascinare.
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