Gli album del mese: Panic! At the Disco, Dance Gavin Dance, Pale Waves & more

Panic at the Disco Viva Las Vengeance copertina

Panic! At the Disco – Viva Las Vengeance

(Fueled by Ramen, 19 agosto 2022)

Quattro anni dopo Pray for the Wicked e l’impensabile successo planetario di High Hopes, riecco i Panic! At the Disco (o forse dovremmo togliere l’articolo visto che ormai da anni è rimasto solo Brendon Urie) con un nuovo album; un disco che si è decisamente fatto attendere, forse anche a causa dell’ondata di fama che ha travolto l’artista di base a Las Vegas. Quello che i Panic At the Disco ci offrono con questo nuovo Viva Las Vengeance (che in inglese mi immagino un po’ fare lo stesso effetto di quando i milanesi chiamano i propri quartieri Rozzangeles o Baronx, ma magari non è così) è un disco parecchio curioso, molto probabilmente nulla di quello che tutti quanti ci aspettavamo. Brendon ha deciso di accantonare buona parte del pop brillante e mainstream degli ultimi due o tre album, per darci in pasto un disco che sembra un pochino un misto fra Pretty. Odd. e Vices & Virtues; sicuramente il disco dei Panic! più suonato e ricco di chitarre dal 2011 a questa parte. A tratti per le sonorità un po’ rock and roll anni ‘70 sembra che Ryan Ross sia tornato nella band e si sia rimesso a scrivere le canzoni ripartendo dal suo progetto The Young Veins. Spesso si ha invece l’impressione che il disco sia stato concepito a metà fra l’album musicale e il musical, sia per lo sfoggio a più riprese delle doti canore di Brendon, sia per le atmosfere un po’ teatrali di alcune canzoni (vedi Sad Clown, God Killed Rock and Roll, Something About Maggie, All by Yourself…) -un’evoluzione del resto comprensibile viste le esperienze di Brendon a Broadway. La mossa ha spiazzato molti fan, stando ai commenti che abbiamo letto su Internet negli scorsi giorni, e prevediamo già che questo disco non abbia nemmeno lontanamente il successo che ha avuto il suo predecessore, ma questo forse Brendon l’ha messo in conto decidendo di scrivere canzoni del genere. In realtà Viva Las Vengeance è un disco divertente, probabilmente inferiore ai dischi più noti della band -gli ultimi due ma anche i primi due- ma a questo punto Brendon ha tutto il diritto di divertirsi, e su questo album lo fa, e tutto sommato fa divertire anche noi.


Dance Gavin Dance – Jackpot Juicer

(Rise Records, 29 luglio 2022)

Provando a mettere per un attimo da parte tutto quello che è successo negli ultimi mesi in casa Dance Gavin Dance e a concentrarci solamente sulla musica, con Jackpot Juicer abbiamo un disco che nelle intenzioni dovrebbe essere una sorta di coronamento della carriera per la turbolenta band americana. Con diciotto canzoni, si capisce subito che l’opera è ambiziosa, e ascoltandola se ne ha una conferma. La formula che ha portato la band al successo non è stata stravolta, però si nota subito un’attenzione maggiore, quasi maniacale, all’arrangiamento di ogni brano, con sezioni di archi (o presunti tali), melodie studiate per rendere unica e memorabile ogni canzone, tecnicismi diffusi lungo tutta la tracklist ma senza scadere nella semplice esibizione del virtuosismo finse a sé stesso. Musicalmente è a tratti il disco più soft e con i suoni più leggeri della loro discografia, anche se poi su certe canzoni -o in parti di esse- i DGD spingono forte come loro solito (vedi il breakdown di Ember); c’è però un’apparente maggior ricerca di musicalità, di suoni un po’ groovy ma non necessariamente “post-hardcore”, il che è senz’altro positivo considerata la prolificità della band e il rischio di continuare a riproporre le stesse sonorità. Diciotto canzoni per un totale di più di un’ora di musica è veramente tanto, però in effetti non c’è traccia di filler: tutti i brani hanno il proprio perché e soprattutto sono ottimi brani, che giustificano una tracklist monstre come quella di Jackpot Juicer. Troppo presto per sapere se quest’album scalzerà dalla vetta alcuni dischi fan favourite come Mothership o Instant Gratification, ma possiamo senz’altro dire che la candidatura a magnum opus dei Dance Gavin Dance è stata avanzata.


Pale Waves – Unwanted

(Dirty Hit, 12 agosto 2022)

“A band that gives so little and so much at the same time”. Più o meno così recitava un commento che avevo letto tempo fa su Internet a proposito dei Pale Waves -e mi scuso con il suo autore che non posso citare perché non ricordo dove esattamente lo avevo incontrato. In effetti mi pare la rappresentazione più concisa e perfetta del gruppo inglese: le loro canzoni sono tutte uguali e tutte banalotte, ma sono anche tutte catchy, da presa bene generale e mettono una gran voglia di riascoltarsele un sacco di volte. Non fa troppa differenza anche Unwanted, il terzo album di Heather Baron-Gracie e compagni. La band di Dirty Hit Recordings su questo disco adotta un approccio leggermente più improntato al pop punk che in passato, dando una sorta di “svolta Avril Lavigne” alla propria carriera. La pop punk princess canadese sembra in effetti una sorta di nume tutelare del disco: al sound che l’ha portata al successo nei primi 2000 si rifanno esplicitamente molte tracce -vedasi la title track Unwanted, così come Jealousy, o Clean, o Alone, per citarne qualcuna. L’approccio al sound è cambiato leggermente quindi, ma in realtà non si nota nemmeno così tanto, proprio perché le linee vocali di Heather sono sempre le stesse, e pure i testi non sono cambiati di una virgola rispetto al passato, essendo quasi sempre molto scontati (per citarne uno: “You’re the one girl that I just can’t get enough of / Maybe it’s love or maybe a moment / You’re the one drug that I don’t want to get clean from”; insomma, un tripudio di cliché). Questo a volte li fa funzionare lo stesso, altre volte si risolve in prevedibili rime baciate. Altrove i Pale Waves gettano una sembianza di influenza inedita, come quando in You’re So Vain si rifanno a Taylor Swift (o qualcosa del genere) o in Only Problem sembrano i Paramore di Brand New Eyes, ma tutto sommato sono sempre i cari, vecchi Pale Waves con una leggera spinta più pop punk. Rispetto al riuscitissimo Who Am I?, ci pare che questa volta ci siano un paio di giri a vuoto in più (tre ballad molto simili fra loro sembrano un po’ troppe, e anche la già citata You’re So Vain è un brano piuttosto scadente rispetto al resto della tracklist), ma alla fine i Pale Waves sanno ancora una volta mettere la voglia di farsi riascoltare, per cui Unwanted può considerarsi un mezzo successo.


Hot Milk – The King and Queen of Gasoline

(Music for Nations, 5 agosto 2022)

Gli Hot Milk a quanto pare non ne vogliono sapere di pubblicare un album intero, e così ci ritroviamo con il terzo EP del duo inglese nel giro di tre anni, a un annetto circa di distanza dal precedente I Just Wanna Know What Happens When I’m Dead. Su quell’EP, la band aveva parzialmente abbandonato le atmosfere poppeggianti del primo lavoro in favore di un sound più heavy e anche più strutturato: una tendenza che su The King and Queen of Gasoline è ulteriormente accentuata. L’EP vuole suonare più potente, maestoso e teatrale che mai, e lo si sente sotto numerosi punti di vista, dal maggior uso di cori al suono pestato ed energico della batteria, così come negli assoli delle chitarre e nella struttura più complessa delle canzoni. Unito a un ulteriore incupimento delle atmosfere, tutto ciò fa sì che gli Hot Milk su questo lavoro sembrino ricercare un pochino le sonorità e le vibe che hanno reso grandi i My Chemical Romance, allontanandosi dai possibili paragoni con i We Are the In Crowd che il precedente EP poteva suscitare -anche se l’alternanza delle voci femminile e maschile di Han e Jim è ancor più rimarcata su questo disco, con una divisione 50-50 quasi perfetta. Nel complesso le canzoni di I Just Wanna Know ci piacevano di più, ma forse era anche l’effetto novità di questo sound in parte inaspettato per gli Hot Milk, mentre qui abbiamo semmai una conferma delle ottime potenzialità del duo. Ci piacerebbe ora ascoltare un disco intero magari.


Have Mercy – Have Mercy

(Zodhiac Records, 26 agosto 2022)

A inizio 2020 avevamo salutato gli Have Mercy, che decidevano di appendere gli strumenti al chiodo dopo un’onorevole carriera decennale e quattro dischi molto belli nel mondo dell’emo. A distanza di soli due anni però Brian Swindle -principale mente dietro al progetto- ha avuto un deciso ripensamento, ha fatto pace con i vecchi membri del gruppo e ha annunciato la reunion e l’uscita di un nuovo EP, self-titled, per la piccola etichetta Zodhiac Records. Have Mercy -il disco- è un EP piuttosto corposo di sette canzoni, prettamente emo nelle sonorità, e più precisamente nell’alveo dell’emo anni 2010 di band come Moose Blood, The Dangerous Summer e Free Throw. Le canzoni sono mediamente ben scritte e dotate di una certa carica emozionale, cosa in cui del resto gli Have Mercy si sono sempre dimostrati abilissimi; non è un disco su cui la band ha voluto sperimentare con suoni e generi, e si direbbe quasi più che sia il modo con cui gli Have Mercy abbiano voluto ripresentarsi e “riappacificarsi” con i fan, per dire “siamo tornati e siamo quelli di sempre”.


Kis-Kis – Kak perestat’ bespokoit’sja i načat’ žit’

(self-released, 29 luglio 2022)

A due anni da Pir vo vremja čumi, torna il nostro duo pop punk russo preferito con un nuovo album intitolato Kak perestat’ bespokoit’sja i načat’ žit’, che dovrebbe voler dire qualcosa come “come smettere di preoccuparsi e iniziare a vivere”. La formula non è cambiata radicalmente rispetto al precedente disco, con canzoni fra pop punk, punk rock anni 2000 e a questo giro anche qualche influenza maggiormente alternative rock come si può sentire sui singoli Vebkam (Webcam) o Kogda ja umru. In generale sembra un po’ di sentire qualche disco della prima Avril Lavigne o dei New Found Glory, Sum 41 e simili, solo cantato in russo. Non abbiamo idea di cosa dicano i testi e a volte vorremmo saperlo: ad esempio la terza canzone Ne svjataja si conclude con un sonoro “suca”, ma immaginiamo che in russo non abbia lo stesso significato che in italiano. Le canzoni comunque sono scritte davvero bene: sono veloci, divertenti, suonano alla grande, e quello che colpisce è la produzione, che sembra davvero uscita da qualche costosissimo e gettonato studio californiano molto più di quanto riesca a fare qualsiasi band di questo genere che non venga dal mondo anglosassone -insomma, le Kis-Kis sembrano più americane di molte band inglesi. Verso il finale l’album cede leggermente il passo con canzoni carine ma senza la carica delle prime sei, ma glielo si può assolutamente perdonare perché la qualità è solida. Peccato per la barriera linguistica.


Spielbergs – Vestli

(Big Scary Monsters, 19 agosto 2022)

Fuori per l’etichetta inglese Big Scary Monsters, che propone sempre artisti meritevoli quantomeno d’interesse, Vestli è il titolo del secondo album degli Spielbergs, a tre anni di distanza dal predecessore This Is Not the End. È un disco in cui la band norvegese sviluppa a piena potenza la propria concezione di “punk rock emozionale”: canzoni veloci e cariche, piene di energia, ma con chitarre sentimentali, riff vagamente emo 2000s (vengono in mente i Funeral for a Friend), vocals nostalgici e un tiro che a volte fa quasi sconfinare il disco nei territori del post-hardcore. Insomma è punk rock, ma adatto anche a chi fa un po’ fatica ad ascoltare le band che propongono il sound tipico di quel genere. Il sound è omogeneo lungo tutto l’arco del disco, che può essere tanto una cosa positiva -perché dà idea di compattezza e di una chiara visione artistica, che non fa sballottare il disco qua e là fra sonorità diverse- quanto negativa perché in fondo non c’è grande varietà nell’arco dei quarantacinque minuti, eccezion fatta per la traccia conclusiva You Can Be Yourself with Me, una lunga coda di 8 minuti.


Mått Mūn – Lux

(Beautiful Losers, 22 luglio 2022)

Abbiamo seguito i viaggi cosmici di Matt Mun negli scorsi mesi con l’uscita dei suoi primi singoli per la boutique label italiana Beautiful Losers, che ora dà alle stampe anche l’intero disco dell’artista veneziano, idoneamente intitolato Lux: “un viaggio verso le stelle alla ricerca della luce originaria”. Le sconfinate distese cosmiche sembrano essere la fonte da cui provengono le sonorità di questo disco, che spazia un pochino fra i generi passando dall’alternative rock e dal rock elettronico delle prime tracce a un approccio via via sempre più elettronico e basato sui synth e sui loop. Le atmosfere sono però ariose, maestose, a tratti epicheggianti un po’ come se fossimo in qualche tracklist dei Coheed and Cambria, miscelate alle ovvie (e dichiarate) influenze dei Depeche Mode -pensiamo a tracce come Waves o Neon Dreams. Di questo disco ci piacciono la compattezza e la coesione sonore, perché anche nelle evoluzioni e nei cambiamenti di approccio in termini di sound, è un album che sa di opera congegnata come un ascolto immersivo dalla prima all’ultima traccia, dove ogni canzone è la logica prosecuzione della precedente, e questo ne fa un ascolto soddisfacente e appagante. Non sempre le canzoni sono veramente memorabili, e l’impressione è che a volte Matt Mun sia così intento a creare un’opera magniloquente e “grande” da tralasciare il fatto che la base di molte canzoni sia una semplice melodia che entra nella testa, però è un peccato per cui ci sentiamo di assolverlo proprio in virtù del risultato complessivo del suo lavoro.


Pasqà – ‘A vita è suonno

(self-released, 10 giugno 2022)

Pasqà è Pasquale Porciello, giornalista e corrispondente estero che da dieci anni vive stabilmente in Libano, Paese dove peraltro ha tenuto il release show del proprio album d’esordio, questo ‘A vita è suonno che prende ispirazione da La vida es sueño di Calderón de la Barca e tratta la “ricerca e il raggiungimento del Sé, attraverso lo scardinamento del positivismo dogmatico, nonché del dilagante culto della tecnica”. Un disco intriso di filosofia e di riflessioni sull’umanità insomma, cantato in napoletano, un po’ come va di moda negli ultimi tempi ma un po’ anche con l’intento di far sì che l’ascoltatore vada oltre il significato testuale del linguaggio per apprezzare la visceralità e la musicalità delle parole. Un concetto interessante almeno tanto quanto le sonorità del disco: tra canzone d’autore e folk, Pasqà mette insieme nove canzoni passionali ma anche molto raffinate, di evidente stampo vintage con richiami agli anni ’60 e l’affiancamento alla classica chitarra di un campionario di strumenti come flauti, violini, trombe, pianoforti e percussioni. Alcuni brani sembrano usciti dalla colonna sonora di qualche vecchissimo cartone animato della Disney; pensiamo a Bei(ru)t o a Si po’ te ‘ncontro, ma è una sensazione che abbiamo spesso durante l’ascolto di ‘A vita è suonno. Un disco, se vogliamo, fuori dal proprio tempo, ma che ci catapulta per una mezz’oretta in un ambiente retro e dominato dal sentimento, dai colori e dai toni caldi.


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