“Siamo partiti ispirandoci al Corto Maltese di Hugo Pratt” / Intervista a Maelstrom

Del disco d’esordio di Maelstrom abbiamo avuto modo di parlare la scorsa settimana: potevamo dunque esimerci dal fare una nuova chiacchierata con l’artista (qui la precedente), nel tentativo di svelare almeno un paio dei misteri fascinosi che avvolgono la nascita di un album tutto da scoprire come R.R.? Ovviamente la risposta è no: godetevi l’intervista che segue, e gettatevi tra le onde con Maelstrom!
Maelstrom, bentornato sulle nostre colonne, hai annunciato l’uscita di R.R. in un modo particolare, attraverso un video piuttosto enigmatico… partiamo da lì: cosa voleva raccontare quell’evocativo cortometraggio?
Il video racconta un rito funebre, una commemorazione di un percorso che giunge alla fine, la cui lapide riporta incise due sigle: “R.R.”, titolo stesso dell’album. Abbiamo scelto di narrare attraverso le immagini la creazione e la morte stessa di un disco, carico di tutte le esperienze e le persone che lo accompagnano. La mano che traccia un cerchio nel cielo segna effettivamente l’idea di un ciclo che si conclude e allude anche simbolicamente alla pratica dei pirati che si ribellavano alle dittature dei capitani.
Sembra che ogni membro dell’equipaggio che si univa alla lotta scrivesse il proprio nome su una pergamena fino a formare un cerchio, in modo che se per qualche motivo il capitano avesse cercato di scoprire chi fosse il primo membro ad aderire, non sarebbe riuscito a farlo. Nel video appare inoltre nuovamente nostro nonno, protagonista del mio primo video musicale Pecore nere, che ha ricevuto venti candidature a festival internazionali e che nel 2022 ha vinto il premio come Miglior video musicale al festival di Napoli.
La tua comunicazione si è sempre incentrata su un look particolare e su una precisa attenzione al lato “visual”: il tuo abbigliamento, il mare e alcuni oggetti ricorrenti nella tua “immagine” raccontano un artista che sembra volersi fondere con l’esoterico, con la leggenda… cosa c’è dietro tutto questo? Cosa vuoi raccontare?
C’è senza dubbio la mano di mio fratello che oltre a essere il fotografo e regista ufficiale mi aiuta a selezionare i capi che meglio si addicono al racconto che vogliamo rappresentare. Siamo partiti ispirandoci al Corto Maltese di Hugo Pratt, personalizzando di volta in volta con i colori delle nostre tradizioni.
Parlaci un po’ di R.R.: da dove partiresti per raccontare il tuo album d’esordio? Di strada nel frattempo ne hai fatta parecchia…
R.R. è in realtà nel cassetto da diversi anni. Da piccoli io e mio fratello -più lui in realtà perché io ero pigro- avevamo costruito una nave nel giardino di casa dei nostri nonni che si chiamava Rubino Rosso, e sul diario di bordo, fatto con un’agenda rivestita di carta invecchiata, avevamo disegnato proprio le due “R” puntate.
Qualche anno fa invece mi sono imbattuto in un libro che trattava della pratica di ammutinamento durante l’epoca d’oro della pirateria, che veniva intitolata “Round Rubin” e di cui parlavamo poco fa. A quel punto ho pensato che una specie di filo immaginario avesse legato quel momento ai ricordi della mia infanzia a bordo della Rubino Rosso, ed è nato R.R.
I numerosi singoli pubblicati avevano già lasciato intendere che alla base della tua produzione ci fosse un certo tipo di ricerca autorale. Tu ti senti “cantautore”? E, domanda più complessa: credi che basti “scrivere e cantare” le proprie canzoni per essere cantautore, oppure la canzone d’autore possiede valori propri, ben precisi, che prescindono dalla modalità di produzione?
Sinceramente fatico spesso a definirmi in qualche modo preciso. La musica d’autore è senza dubbio stata una mia grande fonte d’ispirazione da sempre ed è inevitabile che giochi un ruolo di rilievo nella mia ricerca creativa. Per quel che riguarda invece i valori propri della canzone d’autore credo che sì, prescindono dalla modalità di produzione anche solo per la condanna di fondo alla bulimia del mercato musicale, che ne è una spinta costante.
Hai lavorato con Revubs Dischi, etichetta indipendente che negli ultimi anni ha portato alla luce diversi talenti emergenti. Cosa significa oggi essere “indipendenti”? Quali sono le difficoltà principali che si incontrano sul cammino, per un artista emergente?
Essere indipendenti significa essere indubbiamente liberi da una serie di dinamiche che spesso caratterizzano il lavoro con una major, e che a mio parere rischiano di limitare la creatività del singolo autore, per lo meno in alcuni casi. È anche vero che l’indipendenza in questo senso presuppone una maggior difficoltà nel riuscire a far fruire la propria musica. Lavorare con Revubs Dischi mi ha permesso di avere un supporto manageriale, oltre che produttivo, non indifferente.
Facci fare un giro nella tua tracklist: utilizza un colore per raccontare ogni brano, tu che hai un certo tipo di predisposizione per i “concept” visivi!
Beh, la prima è facile, perché Cremisi è proprio un particolare tipo di rosso. Bassa marea a istinto vado sull’arancio tramonto. Michelle direi giallo. Coralli tra il rosa e il lilla. Ombra tra il viola e il blu scuro. Etesia è rock, nero. Amotinar è evidentemente azzurro. Dove finisce il cielo un verde smeraldo. R.R. tutte le sfumature del mare.
Maelstrom, date in giro? Hai in previsione qualcosa per l’estate? Dove potremo ascoltarti, oltreché sulle piattaforme digitali?
I prossimi appuntamenti sono il 12 luglio a Reggio Emilia, il 14 luglio a Torino e dal 21 al 26 luglio a Lavagna in Liguria.
Troverete tutte le specifiche sulla mia pagina Instagram!
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